Un Sangermanese nel Continente Nero...  

Augusto Franzoj

 Nato a S. Germano Vercellese il 2 ottobre 1848, dopo aver compiuto gli studi liceali Franzoj si arruolò giovanissimo nell'esercito, partecipando alla guerra del 1866. Deluso dall'esperienza militare, Franzoj aderì al repubblicanesimo e al programma mazziniano, facendone propaganda anche nell'esercito. Si trovò così implicato nel fallito tentativo insurrezionale repubblicano di Pavia dei 24 marzo 1870, legato al nome del caporale Pietro Barsanti (1848-1870), fucilato il 27 agosto successivo. Franzoj, a sua volta coinvolto nei procedimenti penali seguiti all'insurrezione, venne poi assolto. Al processo fu difeso da Giuseppe Marcora, allora radical-democratico e in seguito, grazie a Giolitti, addirittura presidente della Camera dei deputati, secondo un'evoluzione politica sottolineata con amara ironia da Ghisleri sulle colonne del quotidiano repubblicano «La Ragione» del 29 gennaio 1908.[54] Analoga posizione espresse Franzoj, come mostra la sua bella lettera a Ghisleri del 26 marzo 1908, qui pubblicata in Appendice e suscitata proprio dall'articolo citato di Ghisleri. Nonostante l'assoluzione, Franzoj fu sottoposto al consiglio di disciplina dell'esercito, che gli tolse il grado di sottufficiale e lo relegò alla compagnia di disciplina dei forte di Fenestrelle, presso Torino. Dopo la fucilazione di Barsanti, riel settembre del 1870 le notizie che provenivano dalla Francia (la sconfitta di Sedan, la caduta dell'Impero di Napoleone III, in seguito la Comune) diedero animo a Franzoj e ai suoi compagni di prigionia. Così, nel novembre del 1870, con altri 27 commilitoni tentò l'evasione per raggiungere la vicina Francia, cadendo però dalla fune lungo la quale s'era calato. Ferito, fu raggiunto e riportato a Fenestrelle e poi trasferito a Rocca d'Anfo, Gaeta e al Lido di Venezìa, dove tentò di uccidersi con una revolverata al petto, ferendosi solo leggermente. Espulso dall'esercito, si stabilì a Torino dedicandosi al giornalismo radicale, e dirigendo giornali come «La Pulce» o collaborando a «II Ficcanaso», diretto da quel Giuseppe Beghelli [55] (1847-1877) che, tra Torino e Roma, riprese la pubblicazione de «L'Italia del Popolo» (20 settembre 1873-14 aprile 1874), a suo tempo interrotta con la fine della Repubblica Romana, quando era amministrata da Numa Palazzini. Gli articoli di Franzoj erano tali da portarlo di nuovo in prigione, ma un buon contributo alla detenzione veniva anche dai numerosi duelli da lui sostenuti, e mai rinnegati. Per evitare ulteriori carcerazioni, esulò in Svizzera, a Ginevra, nel 1875. Qui, in un ambiente e in un momento dove l'emigrazione politica europea era particolarmente consistente, Franzoj ebbe modo di avere numerosi contatti. Subì un attentato, che quasi gli costava la vita, da parte di un agente italiano infiltratosi tra gli esuli, mandò corrispondenze alla “Plebe” [56] e divenne amico dell'esule democratico francese H. Rochefort (1831-1913) [57], per conto del quale, nel luglio del 1875, si recò a Parigi per portare un cartello di sfida al reazionario Paul G. de Cassagnac (1843-1904). Rientrato in Italia, venne arrestato e imprigionato.[58] Uscito di prigione (tra una condanna e l'altra, alla fine saranno oltre sei anni), sempre più inquieto e insoddisfatto, maturò il progetto di andare in Afri ca. Partito agli inizi del 1882, si diresse verso l'Egitto. Deciso ad entrare in Abissinia, il 3 maggio '82 Franzoj partiva dal Cairo verso Massaua, ultima città egiziana al confine abissino. Da qui intendeva raggiungere Gondar, capitale del regno del re abissino Johannes. Dato che il permesso del sovrano per entrare nei suoi territori tardava ad arrivare, l'impaziente Franzoj si fabbricò un falso salvacondotto per entrare nella regione del Tigrè e raggiungere Adua, utilizzando il fac-simile litografico di un precedente lasciapassare, concesso dal Negus alla spedizione Matteucci e riprodotto sulla copertina di un libro di Pippo Vigoni. Attraverso una serie di disavventure tragicomiche, ampiamente narrate in alcune corrispondenze per la «Gazzetta Piemontese» di Torino, [59] e soprattutto nel suo libro Continente Nero, [60] lodato da C. Correnti e G. Carducci, Franzoj -che gira per l'Abissinia con al collo una croce per mostrarsi cristiano e non esse re ammazzato come turco, senza soldi per non avere rapine, con una mula malridotta, armato di un revolver e di uno spadone la cui ombra serale lo fa sembrare a sé stesso Don Chisciotte - si fa protagonista di numerosissime avventure (diventa anche amico di Menelik), che rivelano un personaggio straordinario, il cui coraggio spesso diventa autentica temerarietà. Iniziato nel 1882, questo primo viaggio d'esplorazione in Africa termina nel novembre del 1884 con un trionfale quanto imprevisto ingresso a Chieti, dove Franzoi consegna le spoglie da lui recuperate dell'esploratore Giovanni Chiarini, ucciso dalla regina di Ghera nel 1879. Questo recupero riesce a Franzoj, solo e senza mezzi se non la propria audacia, mentre, per lo stesso scopo, l'aristocratico romano Pietro Antonelli aveva chiesto la cospicua somma di 50.000 lire per effettuare un viaggio lungo la metà di quello compiuto dal folle e solitario ma generoso Franzoj. Così si presentava Franzoj, il 28 agosto 1884, quando giunse sulla costa, ad Assab, reduce dalla sua impresa: 'brutto, orrido, con una barba ispida e coi capelli lunghi ed incolti, quel po' di pelle petecchiata che faceva capolino fra i capelli e la barba era abbrustolita dal sole, gli occhi incavati, Per tutto vestimento aveva una leggera e bisunta camicia di donna abissina, i piedi avvolti in ritagli di pelle legati di stracci'.[61] Il monarchico Antonelli cercherà di nuocere in tutti i modi al repubblicano Franzoj, ostacolandone anche l'imbarco per l'Italia e mettendo in dubbio l'autenticità delle spoglie di Chiarini. 'Esce così dalla scena (ma per poco, perché lo ritroveremo presto sulle rive del Mar Rosso) il più turbolento, insofferente e anticonformista fra i pionieri. Forse anche un po' folle, ma certo il più disinteressato e generoso di tutti. E per questo il meno celebrato dalla storiografia liberale e fascísta'. [62] Mentre Franzoj ritorna in Italia, nel novembre del 1884 inizia la fase propriamente militare dei colonialismo ìtaliano, che vedrà la sua prìma tappa con l'occupazione di Massaua il 5 febbraio 1885, 'con nessun vantaggio di ordine polìtico ed economico e il solo rischio di attirarci addosso l'odio dell'intera Abissinia'. Le dìscussioni politiche furono vivaci, specialmente in parlamento. Particolarmente significativa la presa di posizione di Andrea Costa, unico deputato socialista in Parlamento, che alla Camera sottoscrive un ordine del giorno, firmato insieme ad alcuni deputati democratici, tra cui Luigi Castellazzo, che reclama dal governo il ritiro dei soldati dall'Africa e una decìsa azione rìvolta ai problemi sociali italiani. Intanto Franzoj prepara la seconda spedizione in Africa, compiuta tra il 1885 e il 1886 insieme all'esploratore novarese capitano Ugo Ferrandi il quale, nell'occasione, era agente della casa commerciale Bienerifeld, Nel 1887 Franzoj torna ancora in Africa, a Massaua, come corrispondente del «Corriere dì Roma». t l'anno della sconfitta di Dogali, che suscitò roventi polemiche, ed è una delle occasioni in cui il comportamento di Franzoj sembra dar ragione a chi lo accusa dì follia o di inaffidabilità. Dopo Dogali, in seguito agli accordi italo-abissini per la reciproca liberaziQ_ne degli ostaggi, ras Alula teneva ancora prigioniero un ufficiale italiano al quale la corte sabauda teneva molto, ìl conte Savoiroux, e lo avrebbe liberato dietro la consegna dei balambaras Cafel, un abissino collaboratore degli italiani. Franzoj, insieme al colonnello Federico Piano, escogitò un'azione banditesca per risolvere la situazione, tentando con ciò dì porre il comando militare italiano di fronte al fatto compiuto. Insieme decisero infatti di cercare Cafel, tagliargli la testa e consegnarla a ras Alula in cambio della liberazione di Savoiroux; i due vennero bloccati appena in tempo e riportati a Massaua, da dove fl generale Genè li rimandò in Italia. A questa espulsione, però, non erano certo estranee le corrispondenze che Franzej inviava in Italia, il cuì contenuto denunciava con durezza le responsabilità del comando ìtaliano per la sconfitta di Dogali. Per la stessa ragione furono espulsi altri giornalisti, tra cui Ferruccio Macola del «Capitan Fracassa» di Roma. [63] In margine alla vicenda-Cafel, Gustavo Chiesi, corrispondente de «Il Secolo» di Milano, e Giacomo Gobbi-Belcredi, corrispondente della «Tribuna» di Roma, accusarono Franzoi di barbarie e questi, al rientro in Italia, li sfidò entrambi a duello, uscendone vincitore. Di nuovo in Italia, Franzoj cercò in tutti i modi di avere aiuti e appoggi per tornare in Africa. Vanno in tale direzione i contatti con Felice Cavallotti, [64] (cfr. la lettera di Franzoj a Cavallotti pubblicata qui in Appendice), che però non approdarono al risultato desiderato. Sull'esito negativo dei tentativi intrapresi influivano i precedenti burrascosi di Franzoj, ma anche il suo temperamento imprevedibile. Cosimo Bertacchi racconta che sembrava ormai possibile ‘una nuova spedizione organizzata al suo ritorno in Italia sotto il patroci nio di Re Umberto e del Governo di Francesco Crispi. Ricordo di avere io stesso accompagnato il Franzoj al Senato per trattare col Carducci il modo di un incontro col Presidente del Consiglio. E tutto pareva ben avviato quando un trisìe incidente dovuto ad uno di quei colpi di testa, che erano pur troppo frequenti nel Franzoj, determinò il fallimento di ogni combinazione'.[65] Franzoj viaggiò ancora molto, in particolare in America del Sud, questa volta per conto di una Società di esplorazione commerciale. [66] Sono gli ultimi sussulti. Fallita la spedizione, Franzoj si ritira a Torino, da dove mantiene rapporti con esponenti del partito repubblicano, anche se nel 1904 diventerà socialista. Vanno in tal senso i contatti con A. Ghisleri ed E. Chiesa. Nella Torino dei primi del secolo, dove Franzoj, reduce da tante avventure, vive i suoi ultimi anni, troviamo l'ultimo tra gli eccentrici e solitari di cui questa relazione si occupa, Emilio Salgari (1863 - 1911). Viene qui citato Salgari perché, recentemente, sono stati dimostrati con chiarezza i contatti intercorsi tra lo stesso Salgari e Franzoj, anche sul piano letterario.[67] In effetti, il rapporto Franzoj-Salgari è interessante sotto molti aspetti. Franzoi è un uomo che vive viaggiando avventurosamente, fuori da ogni logica coloniale o ideologico-politica, rivolto soprattutto alla ricerca di sé, della propria identità, ormai impossibile da trovare nella deludente Italia post-rísorgimentale dell'età unibertina, da lui tanto rifiutata e combattuta, quanto poco o nulla scalfita dalla spada dei suoi innumerevoli duelli. Viceversa, i racconti fatti o scritti da Franzoj costituiscono materia vissuta per Salgari, che di viaggi avventurosi, anche se lui si proclamava capitano, non ne aveva fatto nemmeno uno, e con ciò vivendo per interposta persona la propria dimensione avventurosa e fantastica. [68] A ben vedere, quelle di Franzoj e Salgari sono due storie che si possono mettere in relazione di opposta e reciproca parzialità. E' tale quella di Franzoj che, tutto preso dal vano tentativo di far coincidere, tramite le sue avventure, il suo percorso interiore con un mondo esterno inevitabilmente diverso da come lui lo avrebbe voluto, manca dell'attitudine riflessiva e della mediazione letteraria e intellettuale, anche se ha lasciato scritti interessanti. E’ parziale anche la storia di Salgari, che consuma tutta la sua esperienza soggettiva, il suo sé, dentro la dimensione dell'invenzione letteraria e fantastica, a cui Franzoj, come detto, fornisce racconti preziosi di vita vissuta nella sua immediatezza, proprio quella che mancava a Salgari. Confesso che mi sarebbe pìaciuto molto, essendo noti e documentati sia i rapporti tra Ghisleri e Franzoj che quelli tra Franzoj e Salgari, poter scoprire il terzo lato, quello dei rapporti tra Salgari e Ghisleri. Tutto quel che esiste in proposito, però, è solo una breve lettera di Salgari a Ghisteri del 1889 da Verona, con la quale Salgarí rinuncia, a nome del rettore del Collegio Convitto Provinciale veronese, all'abbonamento a «Cuore e Critica» per l'anno 1890 (cfr. il testo della lettera in Appendice). L un legame molto labile e del tutto episodico, ma sufficiente a dimostrare almeno che Salgari conosceva la rivista ghisleriana, la rivista del dibattito sul socialismo, sul colonialismo, sulla questione delle razze. Nonostante il mancato 'triangolo perfetto', le figure di Franzoj e Salgari devono essere messe in relazione proprio con quella di Ghisieri. Franzoj, deluso e respinto da un mondo nel quale non poteva riconoscersi, persi il vigore giovanile e le amicizie di un tempo, il 13 aprile del 1911 decide di farla finita e si suicida in un modo drammatico, sparandosi contemporaneamente due colpi di pistola, uno per tempia. Dodici giorni dopo, il 25 aprile 1911, oppresso dai debiti e dall'insostenibile carico di lavoro a cui era sottoposto daì suoi editori, anche Salgari, probabiImente influenzato dal suicidio di Franzoj, a sua volta si uccide, in un modo ancora più drammatico, squarciandosi collo e ventre con un rasoio. 1 funerali di Salgari si svolsero venerdi 28 aprile; il giorno dopo, sabato 29 aprile, a Torino si inaugurava l'Esposizione Internazionale. Il discorso d'inaugurazione fu tenuto dal senatore Frola, Presidente del Comitato Generale dell'Esposizione, lo stesso che pochi giorni prima aveva tenuto il discorso funebre ai funerali di Franzoj. Di fronte a questi percorsi individuali così sofferti, proprio Ghisleri, così attento all'ineludibile rapporto tra fare e pensare, tra etica e politica (mazzinianamente, tra pensiero e azione), e così coerente con esso, rappresenta un punto di riferimento in positivo. Non dimenticando, però, quanto Claudio Magris dice di Salgarì, il quale ,ci rivela che l'avventura è di carta ma ci insinua l'amore per quei sogni cartacei, per quel mondo labile e precario eppure così stranamente solido nel fluttuare della vita. Di Salgari, della sua patetica enfasi, s'impara presto a sorridere, ma è il sorriso dell'ironia che scopre l'irrealtà, la distanza tra la fantasia e il reale: e quella distanza è grande, è un vasto territorio ancora inesplorato, è un libero spazio che si apre, ogni giorno, al viaggio e all'avventura'.

   Bibliogralia delle opere 

Continente nero. Note di viaggio, Torino, Roux e Favale, 1885; Aure africane,Milano, Galli, 1892.

Giuseppe Deabate ricorda il concittadino Augusto Franzoj in un convegno organizzato per raccoglier fondi per finanziare un suo viaggio

Crediamo opportuno intraprendere la pubblicazione delle principali scene del viaggio in Africa di Augusto Franzoj, premettendo il seguente medaglione letterario che dell'egregio viaggiatore ha scritto un suo compaesano e giovane scrittore. Fra le onoranze tributate ad Angusto Franzoj — da l'offertagli cittadinanza di Chieti al basto del primo poeta italiano — poche, io credo, devono essere scese tanto profonde all'animo del giovane e forte viaggiatore africano quanto le parole pronunciate dal prof. Lignana nella Sapienza di Roma. Giacomo Lignana, l'autore dell'inno famoso Dai miti oliveti, dal boschi di rose, ove tanti petti ha scossi ed inebbriati, l'illustre poliglotta, alla cui scuola di sanscrito sì insediò re Umberto 'col ministro della pubblica istruzione — quadro che Giovanni Faldella chiamava degno del perenne mosaico — Giacomo Lignana, ripeto, nel parlare all'Università romana delle ultime ispirazioni africane, trovava per Augusto Franzoj parole calde di lode e di ammirazione sincero. Ora, le parole del dotto professore non erano soltanto il soluto di un italiano ad un italiano, erano l'omaggio e l'augurio di un concittadino ad un concittadino, di un vercellese ad un vercellese. A San Germano, difatti, nel cui mandamento Giacomo Lignana sorti i natali — e non a Vercelli, come da alcuno si disse, — nasceva trentaquattro anni or sono Augusto Franzoj. San Germano — perdonatemi la digressione — antica e nobile terra del Vercellese, vanta quasi in ogni secolo nomi chiarissimi. E, curiosa analogia di tempi e di uomini, nel secolo xv un dotto professore di San Germano, Pietro Cara, poeta, oratore, giureconsulto, uomo di Stato, dettavi lezioni nell'Università di Torino (dove, raccontano i cronisti d'allora, convenivano od udirlo da ogni parte, non solo d'Italia, ma d'Europa), mentre Jacopo Suigo, un altro sangermanese, ardito viaggiatore per quei tempi, riportava da Venezia e primo diffondeva in Piemonte l'arte dello stampa. Io ho nello mio fanciullezza un' ricordo vivissimo. È quello di un giovanetto vagante a tardo sera per le vie solitarie del paesello natio, seguito da un numeroso e rumoroso stuolo d'amici. Ricordo le note lunghe, ora lietamente vivaci, oro dolcemente melanconiche, di un armonium, compagno indivisi bile di quelle allegre comitive; ricordo i ritornelli cantilenanti e perdenti nel silenzio delle stradiciuole tortuose; e per la corrente delle memorie, come profumo di rive abbandonate, mi tornano allo mente tempi lontani e cari. Ma, ahimè ! fuggono rapidi i giorni dello fanciullezza come le visioni fantastiche di un sogno; ed io riveggo di tratto in tratto Angusto Franzoj — poichè altri non era quel giovinetto» — trascorrere lungo i campì, libero e vivace nella irrequieta spensieratezza dell'adolescenza. Ed è certo la, in mezzo allo campagna, aiutato dai forti muscoli ricevuti da robusti genitori e ringagliarditi dalle aure forti e salubri più che non si creda, che egli accumulò tutta quella potente energia, lo quale doveva poi tornagli cosi utile nelle avventuroso vicende della giovinezza, e dargli la forza di affrontare — solo e senza aiuti — il terribile enigma africano. E del paese natale il Franzoj non dimenticò mai per vario mutare di tempi e di fortune, i primissimi ricordi ; come fra le continue agitazioni e le turbolente battaglie della penna conservò sempre in fondo al cuore ardente l'affetto della famiglia e sovratutto l'amore soavissimo della madre. Cosi, in mezzo alle lotte, alle fatiche, ai perigli durati nelle tristi solitudini delle sabbie africane, quando il sole, che infiammo il cervello, o la sete che mette il fuoco nelle viscere, saranno stati sul punto di piegare quelle fibre d'acciaio, quante volte l'immagine del paesello lontano, tremolandogli allo mente, gli avrà dato forza e coraggio, gli avrà infuso la lena e l'impulso dell'ultimo sforzo ! Quante volte, nel onore della notte, nell'ora in cui l'assalto dei ricordi è maggiore, oppresso dallo stanchezza e dai patimenti, senza guida, senza speranza, avrà sentito ogni cosa agghiacciarsi in lui e assalirlo lo sconforto e vincerlo il pensiero dell'avvenire e avrà mormorato seco stesso: — È finita ! Ma allora sentiva come una voce venirgli dal fondo del cuore, la voce dell'infanzia, di tutto ciò che amava e che aveva ornato e sbarrargli la parola che anima e conforta, che incoraggia alle fatiche più dure e alle più terribili lotte ! Ed oggi ancora, in cui ricevendo d'ogni parte saluti ed auguri e scorrendo giornali d'ogni provincia e d'ogni colore, che di lui parlano e lui incoraggiano, tutto egli gusta la soddisfazione della riuscita, quante volte gli sarà tornata e gli tornerà alla mente lo piccola terra ove riposano le ossa dello madre adorata ! Oggi Augusto Frauzoj, nella pienezza dell'ingegno e della vita, nella forte maturità delle sue attitudini, ha trovato la propria via. È una strada difficile, ma gloriosa. E per essa — solo o accompagnato — egli ritornerà. Il suo onore ò rivolto olle immense solitudini, alle foreste interminabili, alle valli sonanti di ruggiti, alla grande e terribile sirene, all’infinita, arcana Africa orrenda. E, mentre sta lavorando Intorno al volume che formerà il racconto del viaggio oompiuto, egli medita una delle più temerarie imprese che l'Africa possa offrire, campo senza dubbio di grandi ardimenti e di grandi sacrifici: la soluzione di quel terribile problema che è la via da Kaffa a Zanzibar attraverso i laghi equatoriali, per regioni finora inesplorate. Inoltre un pensiero gli sta fisso alla mente: La triste fine della spedizione Bianchi e al sentimento della missione che più gli è cara — quello di aprire la via alla civiltà frammezzo a quei popoli — non va disgiunto il desiderio e la speranza di scoprire gli autori di tante vittime. Ed egli, ardimentoso e dei luoghi esperto, ha tutti i vantaggi per riuscirne a qualcosa. Dopo la morte dell'infelice Chiarini, parlando alla Società geografica, il Cecchi usciva in queste parole:  Se mi sarà concesso di ritornare in quei luoghi, deporrò una corona bagnata di  lagrime affettuose su quelle zolle; e se altri di me più fortunato colà giungesse, cerchi una rossa croce che porta scritte queste poche parole: Qui giace ingegnere Giovanni Chiarini (Abba-Saitan) martire. Ma comunque e qualsiasi sia l'esito della impresa a cui il Frauzoj si accinge, egli rimarrà sempre come un esempio fortissimo di coraggio e di costanza. Rimarrà a testimoniare quanto possa ancora la fede nei grandi ideali in questa età di fiacchezza e di vanità. Per l'onore d'Italia, per l'amore dei nostri martiri, in nome della civiltà e dello giustizia, che i raggi ardenti del sole africano possono salutarlo vittorioso fra quelle remote contrade ove sventolerà la bandiera italiana ed eccheggierà per lo primo volta in mezzo alle grida del trionfo, il nome santo della patria nostra ! Giuseppe Deabate. Ieri sera, nelle sale della Società Promotrice dell'industria nazionale, si riunì per costituirsi il Comitato centrale per la sottoscrizione pel nuovo viaggio in Africa di Augusto Franzoj. Intervennero numerosi e zelanti i promotori, e discussero e presero immediatamente alcune importanti deliberazioni. La mancanza di spazio e di tempo ci impedisce di dar oggi ampi ragguagli. Possiamo solamente annunziare colla più viva soddisfazione che gli intervenuti si mostrarono animati del migliora zelo, e l'accoglimento avuto nel pubblico promette uno splendido esempio di iniziativa privata. Venerdì sera si terrà altra riunione.

 

Bibliogralia della critica

 P. Gribaudi, 1 pionieri piemontesi nell'A/rica Oriental~, in AA.VV Ccl~brazioni piemontesi nell'anno XIII, Torino, 1935. G. Faldella, Augusto Franzoi: pioniere vercellese dell'espansione italiana in Africa, Vercelli, Gallardi, 1942;  C. Giorchino, Augusto Franzoi presentato ai giovani, Vercelli, « La Sesia ", 1963, vol. 1; T Sarasso, Augusto Franzoi, una sconcertante lìgura di esploratore etiopico, avventuriero e scrittore, in « Bollettino storico vercellese " Vercelli, 1975, 7 pp. 5-46; Felice Pozzo, La spedizione Franzoi all'Amazzonia, 'Vercelli, Famija liarsleisa, 1984, poi in « Miscellanea di storia delle esplorazioni ,>, IX, Genova, 5. e., 1984; F. Pozzo, Dal <.<.continente nero» di Franzoi alla <.<.Favorita del Maddhi» di Salgari, in «Studi Piemontesi", 1, 1985; M. Tropea, Un viaggiatore piemontese nel cuore dell'Africa Nera: l'irregolare A. Franzoj, in «Atti del Convegno 'Piemonte e Letteratura' 15-18 ottobre 1981, «Almanacco Piemontese'>, Torino, 1981; A. Del Boca, Gli'Italiani in Africa Orientale, Bari, Laterza, 1976."Un ribelle nel continente nero. Pagine sconosciute e pagine dimenticate dell'esploratore che ispirò Emilio Salgari." edito da Perosini.

 

Dedicata ad Augusto Franzoj nel Dicembre 2010 in San Germano Vercellese , si è tenuta una conferenza a cura dello storico Felice Pozzo . Argomento della conferenza era " Il Mistero del figlio di Augusto Franzoj", di cui è stato pubblicato l'estratto sopra esposto.

Dal giornale opuscolo "La Commedia Umana" - 21 dicembre 1884
Fra gli uomini che ripetendo il detto famoso di Vittorio Altieri « volli e sempre volli » e riuscirono all'acquisto della meta prefissa, ben a ragione si può annoverare Augusto Franzoj.Volle essere giornalista e lo fu nel vero senso della parola. Nella polemica, senza mancare mai nè al vero nè al vangelo del gentiluomo, combatte valorosamente e nel giorno in cui o sul terreno o innanzi ai giudici to. gati gli si domando conto dell'opera sua, non declinò mai la propria responsabilità. Perciò e nel carcere e nell'esilio sconto a lungo il fio di avere dette sacrosante verità sul volto di coloro, che, essendo al comando, mal soffrivano tanta audacia. Volle essere esploratore e lo fu.

Lo fu senza soccorsi, senza raccomandazioni di sorta, senza anticamere ministeriali. Un giorno al noto Caffè Romano di Torino una signora al leggere il racconto della morte di Chiarini gli disse : e perchè lei non va là in quelle inospite lande a raccogliere quelle ossa sacre ad ogni italiano e portarle in patria ? Queste parole gli scesero al cuore come un comando. Pochi giorni dopo s'imbarcava e solo, senza una parola d'incoraggiamento, senza una lettera autorevole che gli facilitasse la via, si cimento al viaggio che gli ha fruttato tanta gloria.

Ed egli a 33 anni, giovane, guardando con un sorriso il pericolo andò innanzi portando in cuore la memoria santa. di sua madre Ottavia Cavalli, mortagli mentre egli in carcere subiva una pena per reato di stampa. Infiammato da un santo amore per la patria, per la scienza, per l' ignoto si avanzo; andò innanzi più d'ogni altri. Ad Afallo, vincendo le resistenze della terribile regina di Ghera che per cedere il Cecchi sfido i guerrieri dello Scioa e del Goggiam, esumò le ossa del Chiarini e le portò a Chieti sbugiardando la calunnia degli invidiosi, che come botoli gli ringhiavano contro.

Ed ora quest'uomo ritorna di nuovo nell'Africa e tenta la soluzione di un problema geograficamente ancora insoluto – da Kaffa ai Laghi Equatoriali. Augusto Franzoj è un bel fusto di giovine, alto, biondo, dall'occhio vivo penetrante; la cui scintilla rivela il coraggio che lo distingue. Scrive con brio, eleganza e concisione. - Il suo libro In Africa, che vedrà la luce fra pochi giorni, è destinato ad un vero successo. Egli è nato a San Germano Vercellese e suo padre è uno fra i più reputati notai di Vercelli. Oggi tutte le città vanno a gara nell'applaudire il valoroso esploratore e conferenziere e nell'augurargli prosperi i fati per la seconda spedizione che si propone.