Un
Sangermanese nel Continente Nero...
Augusto
Franzoj
Nato
a S. Germano Vercellese il 2 ottobre 1848, dopo aver compiuto gli studi liceali
Franzoj si arruolò giovanissimo nell'esercito, partecipando alla guerra del
1866. Deluso dall'esperienza militare, Franzoj aderì al repubblicanesimo e al
programma mazziniano, facendone propaganda anche nell'esercito. Si trovò così
implicato nel fallito tentativo insurrezionale repubblicano di Pavia dei 24
marzo 1870, legato al nome del caporale Pietro Barsanti (1848-1870), fucilato il
27 agosto successivo. Franzoj, a sua volta coinvolto nei procedimenti penali
seguiti all'insurrezione, venne poi assolto. Al processo fu difeso da Giuseppe
Marcora, allora radical-democratico e in seguito, grazie a Giolitti, addirittura
presidente della Camera dei deputati, secondo un'evoluzione politica
sottolineata con amara ironia da Ghisleri sulle colonne del quotidiano
repubblicano «La Ragione» del 29 gennaio 1908.[54] Analoga posizione espresse
Franzoj, come mostra la sua bella lettera a Ghisleri del 26 marzo 1908, qui
pubblicata in Appendice e suscitata proprio dall'articolo citato di Ghisleri.
Nonostante l'assoluzione, Franzoj fu sottoposto al consiglio di disciplina
dell'esercito, che gli tolse il grado di sottufficiale e lo relegò alla
compagnia di disciplina dei forte di Fenestrelle, presso Torino. Dopo la
fucilazione di Barsanti, riel settembre del 1870 le notizie che provenivano
dalla Francia (la sconfitta di Sedan, la caduta dell'Impero di Napoleone III, in
seguito la Comune) diedero animo a Franzoj e ai suoi compagni di prigionia.
Così, nel novembre del 1870, con altri 27 commilitoni tentò l'evasione per
raggiungere la vicina Francia, cadendo però dalla fune lungo la quale s'era
calato. Ferito, fu raggiunto e riportato a Fenestrelle e poi trasferito a Rocca
d'Anfo, Gaeta e al Lido di Venezìa, dove tentò di uccidersi con una revolverata
al petto, ferendosi solo leggermente. Espulso dall'esercito, si stabilì a Torino
dedicandosi al giornalismo radicale, e dirigendo giornali come «La Pulce» o
collaborando a «II Ficcanaso», diretto da quel Giuseppe Beghelli [55]
(1847-1877) che, tra Torino e Roma, riprese la pubblicazione de «L'Italia del
Popolo» (20 settembre 1873-14 aprile 1874), a suo tempo interrotta con la fine
della Repubblica Romana, quando era amministrata da Numa Palazzini. Gli articoli
di Franzoj erano tali da portarlo di nuovo in prigione, ma un buon contributo
alla detenzione veniva anche dai numerosi duelli da lui sostenuti, e mai
rinnegati. Per evitare ulteriori carcerazioni, esulò in Svizzera, a Ginevra, nel
1875. Qui, in un ambiente e in un momento dove l'emigrazione politica europea
era particolarmente consistente, Franzoj ebbe modo di avere numerosi contatti.
Subì un attentato, che quasi gli costava la vita, da parte di un agente italiano
infiltratosi tra gli esuli, mandò corrispondenze alla “Plebe” [56] e divenne
amico dell'esule democratico francese H. Rochefort (1831-1913) [57], per conto
del quale, nel luglio del 1875, si recò a Parigi per portare un cartello di
sfida al reazionario Paul G. de Cassagnac (1843-1904). Rientrato in Italia,
venne arrestato e imprigionato.[58] Uscito di prigione (tra una condanna e
l'altra, alla fine saranno oltre sei anni), sempre più inquieto e insoddisfatto,
maturò il progetto di andare in Afri ca. Partito agli inizi del 1882, si diresse
verso l'Egitto. Deciso ad entrare in Abissinia, il 3 maggio '82 Franzoj partiva
dal Cairo verso Massaua, ultima città egiziana al confine abissino. Da qui
intendeva raggiungere Gondar, capitale del regno del re abissino Johannes. Dato
che il permesso del sovrano per entrare nei suoi territori tardava ad arrivare,
l'impaziente Franzoj si fabbricò un falso salvacondotto per entrare nella
regione del Tigrè e raggiungere Adua, utilizzando il fac-simile litografico di
un precedente lasciapassare, concesso dal Negus alla spedizione Matteucci e
riprodotto sulla copertina di un libro di Pippo Vigoni. Attraverso una serie di
disavventure tragicomiche, ampiamente narrate in alcune corrispondenze per la
«Gazzetta Piemontese» di Torino, [59] e soprattutto nel suo libro Continente
Nero, [60] lodato da C. Correnti e G. Carducci, Franzoj -che gira per
l'Abissinia con al collo una croce per mostrarsi cristiano e non esse re
ammazzato come turco, senza soldi per non avere rapine, con una mula malridotta,
armato di un revolver e di uno spadone la cui ombra serale lo fa sembrare a sé
stesso Don Chisciotte - si fa protagonista di numerosissime avventure (diventa
anche amico di Menelik), che rivelano un personaggio straordinario, il cui
coraggio spesso diventa autentica temerarietà. Iniziato nel 1882, questo primo
viaggio d'esplorazione in Africa termina nel novembre del 1884 con un trionfale
quanto imprevisto ingresso a Chieti, dove Franzoi consegna le spoglie da lui
recuperate dell'esploratore Giovanni Chiarini, ucciso dalla regina di Ghera nel
1879. Questo recupero riesce a Franzoj, solo e senza mezzi se non la propria
audacia, mentre, per lo stesso scopo, l'aristocratico romano Pietro Antonelli
aveva chiesto la cospicua somma di 50.000 lire per effettuare un viaggio lungo
la metà di quello compiuto dal folle e solitario ma generoso Franzoj. Così si
presentava Franzoj, il 28 agosto 1884, quando giunse sulla costa, ad Assab,
reduce dalla sua impresa: 'brutto, orrido, con una barba ispida e coi capelli
lunghi ed incolti, quel po' di pelle petecchiata che faceva capolino fra i
capelli e la barba era abbrustolita dal sole, gli occhi incavati, Per tutto
vestimento aveva una leggera e bisunta camicia di donna abissina, i piedi
avvolti in ritagli di pelle legati di stracci'.[61] Il monarchico Antonelli
cercherà di nuocere in tutti i modi al repubblicano Franzoj, ostacolandone anche
l'imbarco per l'Italia e mettendo in dubbio l'autenticità delle spoglie di
Chiarini. 'Esce così dalla scena (ma per poco, perché lo ritroveremo presto
sulle rive del Mar Rosso) il più turbolento, insofferente e anticonformista fra
i pionieri. Forse anche un po' folle, ma certo il più disinteressato e generoso
di tutti. E per questo il meno celebrato dalla storiografia liberale e fascísta'.
[62] Mentre Franzoj ritorna in Italia, nel novembre del 1884 inizia la fase
propriamente militare dei colonialismo ìtaliano, che vedrà la sua prìma tappa
con l'occupazione di Massaua il 5 febbraio 1885, 'con nessun vantaggio di ordine
polìtico ed economico e il solo rischio di attirarci addosso l'odio dell'intera
Abissinia'. Le dìscussioni politiche furono vivaci, specialmente in parlamento.
Particolarmente significativa la presa di posizione di Andrea Costa, unico
deputato socialista in Parlamento, che alla Camera sottoscrive un ordine del
giorno, firmato insieme ad alcuni deputati democratici, tra cui Luigi
Castellazzo, che reclama dal governo il ritiro dei soldati dall'Africa e una
decìsa azione rìvolta ai problemi sociali italiani. Intanto Franzoj prepara la
seconda spedizione in Africa, compiuta tra il 1885 e il 1886 insieme
all'esploratore novarese capitano Ugo Ferrandi il quale, nell'occasione, era
agente della casa commerciale Bienerifeld, Nel 1887 Franzoj torna ancora in
Africa, a Massaua, come corrispondente del «Corriere dì Roma». t l'anno della
sconfitta di Dogali, che suscitò roventi polemiche, ed è una delle occasioni in
cui il comportamento di Franzoj sembra dar ragione a chi lo accusa dì follia o
di inaffidabilità. Dopo Dogali, in seguito agli accordi italo-abissini per la
reciproca liberaziQ_ne degli ostaggi, ras Alula teneva ancora prigioniero un
ufficiale italiano al quale la corte sabauda teneva molto, ìl conte Savoiroux, e
lo avrebbe liberato dietro la consegna dei balambaras Cafel, un abissino
collaboratore degli italiani. Franzoj, insieme al colonnello Federico Piano,
escogitò un'azione banditesca per risolvere la situazione, tentando con ciò dì
porre il comando militare italiano di fronte al fatto compiuto. Insieme decisero
infatti di cercare Cafel, tagliargli la testa e consegnarla a ras Alula in
cambio della liberazione di Savoiroux; i due vennero bloccati appena in tempo e
riportati a Massaua, da dove fl generale Genè li rimandò in Italia. A questa
espulsione, però, non erano certo estranee le corrispondenze che Franzej inviava
in Italia, il cuì contenuto denunciava con durezza le responsabilità del comando
ìtaliano per la sconfitta di Dogali. Per la stessa ragione furono espulsi altri
giornalisti, tra cui Ferruccio Macola del «Capitan Fracassa» di Roma. [63] In
margine alla vicenda-Cafel, Gustavo Chiesi, corrispondente de «Il Secolo» di
Milano, e Giacomo Gobbi-Belcredi, corrispondente della «Tribuna» di Roma,
accusarono Franzoi di barbarie e questi, al rientro in Italia, li sfidò entrambi
a duello, uscendone vincitore. Di nuovo in Italia, Franzoj cercò in tutti i modi
di avere aiuti e appoggi per tornare in Africa. Vanno in tale direzione i
contatti con Felice Cavallotti, [64] (cfr. la lettera di Franzoj a Cavallotti
pubblicata qui in Appendice), che però non approdarono al risultato desiderato.
Sull'esito negativo dei tentativi intrapresi influivano i precedenti burrascosi
di Franzoj, ma anche il suo temperamento imprevedibile. Cosimo Bertacchi
racconta che sembrava ormai possibile ‘una nuova spedizione organizzata al suo
ritorno in Italia sotto il patroci nio di Re Umberto e del Governo di Francesco
Crispi. Ricordo di avere io stesso accompagnato il Franzoj al Senato per
trattare col Carducci il modo di un incontro col Presidente del Consiglio. E
tutto pareva ben avviato quando un trisìe incidente dovuto ad uno di quei colpi
di testa, che erano pur troppo frequenti nel Franzoj, determinò il fallimento di
ogni combinazione'.[65] Franzoj viaggiò ancora molto, in particolare in America
del Sud, questa volta per conto di una Società di esplorazione commerciale. [66]
Sono gli ultimi sussulti. Fallita la spedizione, Franzoj si ritira a Torino, da
dove mantiene rapporti con esponenti del partito repubblicano, anche se nel 1904
diventerà socialista. Vanno in tal senso i contatti con A. Ghisleri ed E.
Chiesa. Nella Torino dei primi del secolo, dove Franzoj, reduce da tante
avventure, vive i suoi ultimi anni, troviamo l'ultimo tra gli eccentrici e
solitari di cui questa relazione si occupa, Emilio Salgari (1863 - 1911). Viene
qui citato Salgari perché, recentemente, sono stati dimostrati con chiarezza i
contatti intercorsi tra lo stesso Salgari e Franzoj, anche sul piano
letterario.[67] In effetti, il rapporto Franzoj-Salgari è interessante sotto
molti aspetti. Franzoi è un uomo che vive viaggiando avventurosamente, fuori da
ogni logica coloniale o ideologico-politica, rivolto soprattutto alla ricerca di
sé, della propria identità, ormai impossibile da trovare nella deludente Italia
post-rísorgimentale dell'età unibertina, da lui tanto rifiutata e combattuta,
quanto poco o nulla scalfita dalla spada dei suoi innumerevoli duelli.
Viceversa, i racconti fatti o scritti da Franzoj costituiscono materia vissuta
per Salgari, che di viaggi avventurosi, anche se lui si proclamava capitano, non
ne aveva fatto nemmeno uno, e con ciò vivendo per interposta persona la propria
dimensione avventurosa e fantastica. [68] A ben vedere, quelle di Franzoj e
Salgari sono due storie che si possono mettere in relazione di opposta e
reciproca parzialità. E' tale quella di Franzoj che, tutto preso dal vano
tentativo di far coincidere, tramite le sue avventure, il suo percorso interiore
con un mondo esterno inevitabilmente diverso da come lui lo avrebbe voluto,
manca dell'attitudine riflessiva e della mediazione letteraria e intellettuale,
anche se ha lasciato scritti interessanti. E’ parziale anche la storia di
Salgari, che consuma tutta la sua esperienza soggettiva, il suo sé, dentro la
dimensione dell'invenzione letteraria e fantastica, a cui Franzoj, come detto,
fornisce racconti preziosi di vita vissuta nella sua immediatezza, proprio
quella che mancava a Salgari. Confesso che mi sarebbe pìaciuto molto, essendo
noti e documentati sia i rapporti tra Ghisleri e Franzoj che quelli tra Franzoj
e Salgari, poter scoprire il terzo lato, quello dei rapporti tra Salgari e
Ghisleri. Tutto quel che esiste in proposito, però, è solo una breve lettera di
Salgari a Ghisteri del 1889 da Verona, con la quale Salgarí rinuncia, a nome del
rettore del Collegio Convitto Provinciale veronese, all'abbonamento a «Cuore e
Critica» per l'anno 1890 (cfr. il testo della lettera in Appendice). L un legame
molto labile e del tutto episodico, ma sufficiente a dimostrare almeno che
Salgari conosceva la rivista ghisleriana, la rivista del dibattito sul
socialismo, sul colonialismo, sulla questione delle razze. Nonostante il mancato
'triangolo perfetto', le figure di Franzoj e Salgari devono essere messe in
relazione proprio con quella di Ghisieri. Franzoj, deluso e respinto da un mondo
nel quale non poteva riconoscersi, persi il vigore giovanile e le amicizie di un
tempo, il 13 aprile del 1911 decide di farla finita e si suicida in un modo
drammatico, sparandosi contemporaneamente due colpi di pistola, uno per tempia.
Dodici giorni dopo, il 25 aprile 1911, oppresso dai debiti e dall'insostenibile
carico di lavoro a cui era sottoposto daì suoi editori, anche Salgari,
probabiImente influenzato dal suicidio di Franzoj, a sua volta si uccide, in un
modo ancora più drammatico, squarciandosi collo e ventre con un rasoio. 1
funerali di Salgari si svolsero venerdi 28 aprile; il giorno dopo, sabato 29
aprile, a Torino si inaugurava l'Esposizione Internazionale. Il discorso
d'inaugurazione fu tenuto dal senatore Frola, Presidente del Comitato Generale
dell'Esposizione, lo stesso che pochi giorni prima aveva tenuto il discorso
funebre ai funerali di Franzoj. Di fronte a questi percorsi individuali così
sofferti, proprio Ghisleri, così attento all'ineludibile rapporto tra fare e
pensare, tra etica e politica (mazzinianamente, tra pensiero e azione), e così
coerente con esso, rappresenta un punto di riferimento in positivo. Non
dimenticando, però, quanto Claudio Magris dice di Salgarì, il quale ,ci rivela
che l'avventura è di carta ma ci insinua l'amore per quei sogni cartacei, per
quel mondo labile e precario eppure così stranamente solido nel fluttuare della
vita. Di Salgari, della sua patetica enfasi, s'impara presto a sorridere, ma è
il sorriso dell'ironia che scopre l'irrealtà, la distanza tra la fantasia e il
reale: e quella distanza è grande, è un vasto territorio ancora inesplorato, è
un libero spazio che si apre, ogni giorno, al viaggio e all'avventura'.
Bibliogralia
delle opere
Continente nero. Note di viaggio, Torino, Roux e Favale, 1885; Aure africane,Milano,
Galli, 1892.
Giuseppe Deabate ricorda il
concittadino Augusto Franzoj in un convegno organizzato per raccoglier
fondi per finanziare un suo viaggio |
Crediamo opportuno
intraprendere la pubblicazione delle principali scene del viaggio in
Africa di Augusto Franzoj, premettendo il seguente medaglione letterario
che dell'egregio viaggiatore ha scritto un suo compaesano e giovane
scrittore. Fra le onoranze tributate ad Angusto Franzoj — da
l'offertagli cittadinanza di Chieti al basto del primo poeta italiano —
poche, io credo, devono essere scese tanto profonde all'animo del
giovane e forte viaggiatore africano quanto le parole pronunciate dal
prof. Lignana nella Sapienza di Roma. Giacomo Lignana, l'autore
dell'inno famoso Dai miti oliveti, dal boschi di rose, ove tanti petti
ha scossi ed inebbriati, l'illustre poliglotta, alla cui scuola di
sanscrito sì insediò re Umberto 'col ministro della pubblica istruzione
— quadro che Giovanni Faldella chiamava degno del perenne mosaico —
Giacomo Lignana, ripeto, nel parlare all'Università romana delle ultime
ispirazioni africane, trovava per Augusto Franzoj parole calde di lode e
di ammirazione sincero. Ora, le parole del dotto professore non erano
soltanto il soluto di un italiano ad un italiano, erano l'omaggio e
l'augurio di un concittadino ad un concittadino, di un vercellese ad un
vercellese. A San Germano, difatti, nel cui mandamento Giacomo Lignana
sorti i natali — e non a Vercelli, come da alcuno si disse, — nasceva
trentaquattro anni or sono Augusto Franzoj. San Germano — perdonatemi la
digressione — antica e nobile terra del Vercellese, vanta quasi in ogni
secolo nomi chiarissimi. E, curiosa analogia di tempi e di uomini, nel
secolo xv un dotto professore di San Germano, Pietro Cara, poeta,
oratore, giureconsulto, uomo di Stato, dettavi lezioni nell'Università
di Torino (dove, raccontano i cronisti d'allora, convenivano od udirlo
da ogni parte, non solo d'Italia, ma d'Europa), mentre Jacopo Suigo, un
altro sangermanese, ardito viaggiatore per quei tempi, riportava da
Venezia e primo diffondeva in Piemonte l'arte dello stampa. Io ho nello
mio fanciullezza un' ricordo vivissimo. È quello di un giovanetto
vagante a tardo sera per le vie solitarie del paesello natio, seguito da
un numeroso e rumoroso stuolo d'amici. Ricordo le note lunghe, ora
lietamente vivaci, oro dolcemente melanconiche, di un armonium, compagno
indivisi bile di quelle allegre comitive; ricordo i ritornelli
cantilenanti e perdenti nel silenzio delle stradiciuole tortuose; e per
la corrente delle memorie, come profumo di rive abbandonate, mi tornano
allo mente tempi lontani e cari. Ma, ahimè ! fuggono rapidi i giorni
dello fanciullezza come le visioni fantastiche di un sogno; ed io
riveggo di tratto in tratto Angusto Franzoj — poichè altri non era quel
giovinetto» — trascorrere lungo i campì, libero e vivace nella
irrequieta spensieratezza dell'adolescenza. Ed è certo la, in mezzo allo
campagna, aiutato dai forti muscoli ricevuti da robusti genitori e
ringagliarditi dalle aure forti e salubri più che non si creda, che egli
accumulò tutta quella potente energia, lo quale doveva poi tornagli cosi
utile nelle avventuroso vicende della giovinezza, e dargli la forza di
affrontare — solo e senza aiuti — il terribile enigma africano. E del
paese natale il Franzoj non dimenticò mai per vario mutare di tempi e di
fortune, i primissimi ricordi ; come fra le continue agitazioni e le
turbolente battaglie della penna conservò sempre in fondo al cuore
ardente l'affetto della famiglia e sovratutto l'amore soavissimo della
madre. Cosi, in mezzo alle lotte, alle fatiche, ai perigli durati nelle
tristi solitudini delle sabbie africane, quando il sole, che infiammo il
cervello, o la sete che mette il fuoco nelle viscere, saranno stati sul
punto di piegare quelle fibre d'acciaio, quante volte l'immagine del
paesello lontano, tremolandogli allo mente, gli avrà dato forza e
coraggio, gli avrà infuso la lena e l'impulso dell'ultimo sforzo !
Quante volte, nel onore della notte, nell'ora in cui l'assalto dei
ricordi è maggiore, oppresso dallo stanchezza e dai patimenti, senza
guida, senza speranza, avrà sentito ogni cosa agghiacciarsi in lui e
assalirlo lo sconforto e vincerlo il pensiero dell'avvenire e avrà
mormorato seco stesso: — È finita ! Ma allora sentiva come una voce
venirgli dal fondo del cuore, la voce dell'infanzia, di tutto ciò che
amava e che aveva ornato e sbarrargli la parola che anima e conforta,
che incoraggia alle fatiche più dure e alle più terribili lotte ! Ed
oggi ancora, in cui ricevendo d'ogni parte saluti ed auguri e scorrendo
giornali d'ogni provincia e d'ogni colore, che di lui parlano e lui
incoraggiano, tutto egli gusta la soddisfazione della riuscita, quante
volte gli sarà tornata e gli tornerà alla mente lo piccola terra ove
riposano le ossa dello madre adorata ! Oggi Augusto Frauzoj, nella
pienezza dell'ingegno e della vita, nella forte maturità delle sue
attitudini, ha trovato la propria via. È una strada difficile, ma
gloriosa. E per essa — solo o accompagnato — egli ritornerà. Il suo
onore ò rivolto olle immense solitudini, alle foreste interminabili,
alle valli sonanti di ruggiti, alla grande e terribile sirene,
all’infinita, arcana Africa orrenda. E, mentre sta lavorando Intorno al
volume che formerà il racconto del viaggio oompiuto, egli medita una
delle più temerarie imprese che l'Africa possa offrire, campo senza
dubbio di grandi ardimenti e di grandi sacrifici: la soluzione di quel
terribile problema che è la via da Kaffa a Zanzibar attraverso i laghi
equatoriali, per regioni finora inesplorate. Inoltre un pensiero gli sta
fisso alla mente: La triste fine della spedizione Bianchi e al
sentimento della missione che più gli è cara — quello di aprire la via
alla civiltà frammezzo a quei popoli — non va disgiunto il desiderio e
la speranza di scoprire gli autori di tante vittime. Ed egli,
ardimentoso e dei luoghi esperto, ha tutti i vantaggi per riuscirne a
qualcosa. Dopo la morte dell'infelice Chiarini, parlando alla Società
geografica, il Cecchi usciva in queste parole: Se mi sarà concesso di
ritornare in quei luoghi, deporrò una corona bagnata di lagrime
affettuose su quelle zolle; e se altri di me più fortunato colà
giungesse, cerchi una rossa croce che porta scritte queste poche parole:
Qui giace ingegnere Giovanni Chiarini (Abba-Saitan) martire. Ma comunque
e qualsiasi sia l'esito della impresa a cui il Frauzoj si accinge, egli
rimarrà sempre come un esempio fortissimo di coraggio e di costanza.
Rimarrà a testimoniare quanto possa ancora la fede nei grandi ideali in
questa età di fiacchezza e di vanità. Per l'onore d'Italia, per l'amore
dei nostri martiri, in nome della civiltà e dello giustizia, che i raggi
ardenti del sole africano possono salutarlo vittorioso fra quelle remote
contrade ove sventolerà la bandiera italiana ed eccheggierà per lo primo
volta in mezzo alle grida del trionfo, il nome santo della patria nostra
! Giuseppe Deabate. Ieri sera, nelle sale della Società Promotrice
dell'industria nazionale, si riunì per costituirsi il Comitato centrale
per la sottoscrizione pel nuovo viaggio in Africa di Augusto Franzoj.
Intervennero numerosi e zelanti i promotori, e discussero e presero
immediatamente alcune importanti deliberazioni. La mancanza di spazio e
di tempo ci impedisce di dar oggi ampi ragguagli. Possiamo solamente
annunziare colla più viva soddisfazione che gli intervenuti si
mostrarono animati del migliora zelo, e l'accoglimento avuto nel
pubblico promette uno splendido esempio di iniziativa privata. Venerdì
sera si terrà altra riunione.
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Bibliogralia
della critica
P.
Gribaudi, 1 pionieri piemontesi nell'A/rica
Oriental~, in AA.VV Ccl~brazioni piemontesi nell'anno XIII, Torino, 1935. G.
Faldella, Augusto Franzoi: pioniere vercellese dell'espansione italiana in Africa,
Vercelli, Gallardi, 1942; C. Giorchino, Augusto Franzoi presentato ai
giovani, Vercelli, « La Sesia ", 1963, vol. 1; T Sarasso, Augusto Franzoi,
una sconcertante lìgura di esploratore etiopico, avventuriero e scrittore, in
« Bollettino storico vercellese " Vercelli, 1975, 7 pp. 5-46; Felice
Pozzo, La spedizione Franzoi all'Amazzonia, 'Vercelli, Famija liarsleisa, 1984,
poi in « Miscellanea di storia delle esplorazioni ,>, IX, Genova, 5. e.,
1984; F. Pozzo, Dal <.<.continente nero» di Franzoi alla
<.<.Favorita del Maddhi» di Salgari, in «Studi Piemontesi", 1,
1985; M. Tropea, Un viaggiatore piemontese nel cuore dell'Africa Nera:
l'irregolare A. Franzoj, in «Atti del Convegno 'Piemonte e Letteratura' 15-18
ottobre 1981, «Almanacco Piemontese'>, Torino, 1981; A. Del Boca, Gli'Italiani
in Africa Orientale, Bari, Laterza, 1976."Un ribelle nel continente nero.
Pagine sconosciute e pagine dimenticate dell'esploratore che ispirò Emilio
Salgari." edito da Perosini.
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Dedicata ad Augusto Franzoj
nel Dicembre 2010 in San Germano Vercellese , si è tenuta una conferenza
a cura dello storico Felice Pozzo . Argomento della conferenza era " Il
Mistero del figlio di Augusto Franzoj", di cui è stato pubblicato
l'estratto sopra esposto. |
Dal giornale opuscolo "La Commedia Umana" - 21
dicembre 1884 |
Fra gli uomini che ripetendo il detto famoso di Vittorio Altieri « volli
e sempre volli » e riuscirono all'acquisto della meta prefissa, ben a
ragione si può annoverare Augusto Franzoj.Volle essere giornalista e lo
fu nel vero senso della parola. Nella polemica, senza mancare mai nè al
vero nè al vangelo del gentiluomo, combatte valorosamente e nel giorno
in cui o sul terreno o innanzi ai giudici to. gati gli si domando conto
dell'opera sua, non declinò mai la propria responsabilità. Perciò e nel
carcere e nell'esilio sconto a lungo il fio di avere dette sacrosante
verità sul volto di coloro, che, essendo al comando, mal soffrivano
tanta audacia. Volle essere esploratore e lo fu.
Lo fu senza soccorsi, senza raccomandazioni di sorta, senza
anticamere ministeriali. Un giorno al noto Caffè Romano di Torino una
signora al leggere il racconto della morte di Chiarini gli disse : e
perchè lei non va là in quelle inospite lande a raccogliere quelle ossa
sacre ad ogni italiano e portarle in patria ? Queste parole gli scesero
al cuore come un comando. Pochi giorni dopo s'imbarcava e solo, senza
una parola d'incoraggiamento, senza una lettera autorevole che gli
facilitasse la via, si cimento al viaggio che gli ha fruttato tanta
gloria.
Ed egli a 33 anni, giovane, guardando con un sorriso il pericolo andò
innanzi portando in cuore la memoria santa. di sua madre Ottavia
Cavalli, mortagli mentre egli in carcere subiva una pena per reato di
stampa. Infiammato da un santo amore per la patria, per la scienza, per
l' ignoto si avanzo; andò innanzi più d'ogni altri. Ad Afallo, vincendo
le resistenze della terribile regina di Ghera che per cedere il Cecchi
sfido i guerrieri dello Scioa e del Goggiam, esumò le ossa del Chiarini
e le portò a Chieti sbugiardando la calunnia degli invidiosi, che come
botoli gli ringhiavano contro.
Ed ora quest'uomo ritorna di nuovo nell'Africa e tenta la soluzione
di un problema geograficamente ancora insoluto – da Kaffa ai Laghi
Equatoriali. Augusto Franzoj è un bel fusto di giovine, alto, biondo,
dall'occhio vivo penetrante; la cui scintilla rivela il coraggio che lo
distingue. Scrive con brio, eleganza e concisione. - Il suo libro In
Africa, che vedrà la luce fra pochi giorni, è destinato ad un vero
successo. Egli è nato a San Germano Vercellese e suo padre è uno fra i
più reputati notai di Vercelli. Oggi tutte le città vanno a gara
nell'applaudire il valoroso esploratore e conferenziere e
nell'augurargli prosperi i fati per la seconda spedizione che si
propone.
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