Il castello di San Germano nelle lotte tra Francesi e Spagnoli 

Siamo agli inizi del XVI secolo l'Italia si trova come territorio di scontro tra Francesco I e Carlo V , e il territorio compreso tra Piemonte e Lombardia è l'epicentro di continue guerre e scaramucce tra opposti eserciti che per oltre un trentennio con alterne vicende portano povertà e miseria anche sul territorio sangermanese.

Vercelli era diventata la Capitale del Piccolo Ducato dei Savoia  e a Vercelli , nel 1553, morì il Duca Carlo II "Il Buono", e là venne sepolto nella Cattedrale di S.Eusebio dove tuttora possiamo ammirare la Cappella del Casato . A lui era succeduto il figlio Duca Emanuele Filiberto che si era disinteressato della situazione del suo Ducato , e postosi al servizio dell'Imperatore Carlo V, aveva assunto il comando delle sue truppe nelle Fiandre, lasciando il luogotenente Giovanni Amedeo Valperga Conte di Masino a seguire le sorti del Ducato. Col costante pericolo dell'occupazione dei Francesi sulle terre del Vercellese. Anche con l'alleato Ducato di Milano non mancavano i contrasti , il 3 luglio 1552 il Duca Carlo II nomina Eugenio Belviso già Podestà di San Germano come suo incaricato nel risolvere questioni sorte nella città di Vercelli tra ufficiali spagnoli e comandanti dei Savoia.

Tommaso Valperga commissario dei Savoia inizia un opera di potenziamento di tutte le fortificazioni site sul territorio del Ducato e anche quelle del borgo di San Germano. Impone Al borgo di Lozzolo ( come narra Vittorio Travostino ne " Lo Strazio di Gattinara" ) di fornire uomini "...per reparazione di San Germano con ogni presteza che sia possibile...." cioè per rifare le fortificazioni del paese e fornire vettovagliamento per i soldati

(1544)

Di fatto la difesa del Ducato di Savoia era affidata al confinante Ducato di Milano in cui a quel tempo il governatorato era affidato a Ferrante Gonzaga , fidato servitore di Carlo V . Il Gonzaga tramite il comandante Ludovico Vistarino esercitava la difesa di quella piccola parte del territorio del Vercellese e Biellese che ancora era rimasto libero dall'invasione francese del 1536.

  Il Senato di Milano aveva provveduto allo stanziamento di quarantamila ducati con i quali si soldavano alcune genti Italiane alla condotta del Vistarino , forniva di difesa San Germano ( in quel periodo amministrato dal Podestà Eugenio Belviso), Vercelli,  altri luoghi vicini al pericolo . "E poscia , che egli per fare alcune compagnie di fanti da ripartire negli altri luoghi di presidio , che eran rimasti , e per confermarvi gli animi de' soldati e terrazzani , tante volte aveva la provvisione del danaro indarno instata , mandò a detti presidi una paga di danari , che il Tesoriere accattò in prestito da diverse persone; il che appresso agli amici , non men che a' nemici , molto scemava dal credito. Ordinò ancora , che in Milano si facessero alcune altre compagnie , e verso Asti , e San Germnao , che è tra Vercelli e Ivrea , si mandassero." A San Germano giunsero cinque compagnie di fanti ( circa 100 soldati ) comandate dal milanese Francesco Della Croce .

Nella primavera del 1544 il Colonnello Ludovico da Birago  con Monsignor di Tes comandante delle truppe Francesi di Francesco I , passano la Dora al comando di 5000 fanti e invade il territorio vercellese , sotto i suoi assalti cadono ; Crescentino , Livorno , Fontanetto , Palazzuolo , Desana , poi si rivolge verso San Germano , che  cade solo dopo un bombardamento di 130 colpi di artiglieria e dopo un fiero assalto . Nientedimeno il Comandante in San Germano il milanese Francesco Della Croce , che ne era alla guardia e vedendo la situazione peggiorare , si arrende al Birago , la cui cortesia e i costui meriti fecero si che il Della Croce e i suoi uomini fossero lasciati andare fuori da borgo , e così San Germano cadde nelle mani del Birago senza alcuna offesa per terriero e forestiero , e dal cui territorio il comandante Francese comincio a volgere le proprie attenzioni alle città di Trino e Vercelli.

 

 

Francesco Della Croce - Comandante in San Germano

La presente famiglia della Croce fra gli altri personaggi illustri sì nella toga, che nelle armi, vanta in ispecie questo capitano, che tanto si distinse nella carriera di Marte. Fu chiamato il Tempestino quasi tempesta del nemico, perchè gli riuscirono sempre felicemente le intraprese militari. Egli era cognato di Costanzo, segretario di Gian Giacobo Trivulzio marchese di Vigevano. La vera origine, e stabilimento di questa antica, e nobile famiglia in Vigevano ci viene narrata da Simone Dal Pozzo nel suo Libro dell' estimo, ossia della descrizione generale dei beni dell'anno 1550  dove cosi egli scrive — Della Croce — Vennero questi in la terra, ma al tempo del mio avolo , et quasi nel tempo medesimo de quelli de Decio ; che habitando qua in questa terra allora li Duchi Sforza , essendo cortegiani contrassero affinità in questa terra in quelli tempi, ma sono pochi. Sono stati famosi in l'arte dell' arme. Vedi pure lo stesso Simone Dal Pozzo nel Libro de'consigli generali della città di Vigevano

Stemma dei Della Croce di Vigevano

 La piazza di San Germano era difesa da 5 compagnie di fanti del Duca di Savoia ( circa cento soldati ) comandate da Francesco Della Croce , e per il sopraggiungere dei Francesi non poté all'ultimo momento essere rafforzata . I Francesi comandati da Ludovico Birago e dal Sgr. di Tes , con loro c'erano Carlo e Girolamo Birago , fratelli di Ludovico , il capitano Mauro da Merate e altri valorosi italiani. Arrivano alle porte di San Germano il 13 Febbraio 1544. Abbiamo la cronaca dell'assalto dalle memorie storiche di Guillaume de Marillac , di cui riportiamo la traduzione; "Lungo il percorso da  Ivrea a Vercelli e dopo aver messo la sua obbedienza su molti luoghi piccoli, si mise in  assedio San Germano, che è sulla strada per Vercelli, sperando nella sorpresa, ma si ha trovato gli abitanti preparati alla  guerra, ha piantato la sua artiglieria contro il luogo che pensava di sorprendere. Vero è che si trattava di una città non circondata da fortificazioni, ma da un fossato in buono stato. il bordo del fosso era ghiacciato in modo che l'artiglieria non poteva immergersi fino ai piedi del fossato per poter superare il muro oltre il bordo , tuttavia furono fatti alcuni varchi per poter procedere ad un attacco. Ciò nonostante, nella giornata non si riusci a superare il muro , e i capitani  Achau, e Basque, che portavano la bandiera della Sgr. de Thays , il capitano Garrou, , il capitano SaincteMarie, , il capitano Renouart, scalarono la muraglia , seguiti da molti buoni compagni. Ma che furiosamente assaliti sono stati gettati di nuovo dentro, e vi morì Garrou  e il capitano Saincte-Marie. E il capitano Achau, che portava l’insegna del colonnello, ricevette tre o quattro archibugiate su entrambe le braccia e nel corpo, lasciando lo standardo nella fossa. Impossibilitato a muoversi dal posto, per le ferite riportate e le continue archibugiate dei difensori del borgo, si riparava contro il muro, con il rischio di essere lapidato , e vi rimase fino al mattino, Mentre i nostri soldati  si stavano preparando a fare nuova batteria  e  per dare nuovo assalto. Gli assediati, stupiti dall’audacia e della furia del nostro assalto , non aspettarono altro che parlamentare le condizioni della resa , cedendo  le forniture con munizioni della città con l'artiglieria, e l'obbedienza al re. "

Il Birago lascia 400 fanti a presidio di San Germano per proseguire verso Vercelli.

(1551 - Rafforzo delle fortificazioni)

Con lettera del 22 ottobre 1551 Ferrante Gonzaga presentava e raccomandava a Carlo di Savoia il Capitano Nicolò Secco ( detto il Caravaggino ) per la riparazione delle fortificazioni del Vercellese , messe a dura prova dalle continue guerre con i francesi.  Ma mentre il Caravaggino con tutto l'impegno , l'attività , lo zelo ( forse eccessivo ) , prodigavasi nel compito a lui affidato , già il 14 ottobre doveva lagnarsi con il duca di Savoia , e mostrarsi con lui molto risentito " perchè essendo grandissimo fabbisogno d'uomini per i lavori di fortificazione , non gli venivano concessi che che a spizzico ; a uno , a due , a tre , a sette per terra et per castello per elemosina... Frattanto Nicolò , necessitando vettovagliare ei presidi spagnoli del Piemonte sprovvisti di tutto, faceva pubblicare un proclama con il quale, in virtù dei pieni poteri conferitigli, ordinava e comandava che trascorsi quattro giorni dal bando gli abitanti dei distretti di Casale Monferrato, San Germano, Vercelli, di intervenire per fortificarlo con tutta prontezza . Seguivano tosto le ingiunzioni del Gonzaga sugli Stati di Savoia : "Ordiniamo et espressamente comandiamo alle terre , castelli , ville et luochi , tanto de quà come de là della Dora et del Po che dal governatore Nicolò Secco saranno ricercate et comandate , che debbano senza alchuna dilatione concedre de la quantità de guastatori necessari alle fortificazioni".

 

 

LUDOVICO BIRAGO

Andò giovanetto in Francia, e fu in Lione presentato a ventitré anni al re Francesco 1°,che lo destinò subito alla guerra che aveva immaginato di fare al duca Carlo di Savoja, contro il quale aveva preparato un manifesto con lunga serie non di ragioni, ma di pretesti. Torino aprì le porte al nemico nel 1536. Al soccorso della casa di Savoja sopraggiunse un esercito di Carlo V? mentre l'estinzione della casa Sforza in Milano aveva fatto riprendere le armi a'due monarchi fra loro irreconciliabili. Torino fu assediato subito dagl'imperiali. Al Birago e a Marcantonio Cusani fu comandato d'uscir da Torino e di andare a sorprendere Savigliano, onde chiamar l'attenzione del nemico in altro luogo a vantaggio degli assediali. Ma tra Cavour e Cardè gli toccò di battersi, e, morto il Cusani, concentralo in lui solo il comando, guadagnò il fatto d'armi e s'impadronì di nove bandiere. Fu mandato a presentarle al re, che si trovava nel Delfinato, e che premiò il suo valore col nominarlo colonnello. Ritornato subito in Italia, die di notte coraggiosamente l'assalto a Verolengo e se ne impadronì, e il re per premio glielo diede in feudo. Questa terra però passò ai Tana, e Lodovico la riebbe nel 1560 unitamente al fratello Carlo. Si batte con onore contro gl'imperiali tra San Germano, e Santhia, poi a Chivasso. F'u nominato scudiere da Francesco 1 nel 1558, ventisei aprile, anno in cui per opera di Paolo 111 si fece una tregua di dieci anni, e in cui con singolare fermezza e. imperturbabilità giunse a calmare una sommossa del presidio di Torino contro il governatore. La tregua di dieci anni ne durò soli tre, e si ripresero le armi nel 1542. Il Birago ebbe allora il comando di quattro compagnie di cavalli, e, sconfitto un corpo di Albanesi, s'impadronì di Verrua. Nel 1545 si trovò alla ricuperazione di Carmagnola, e nel 1544 occupò Crescentino, e con l'artiglieria anche San Germano, imprese nelle quali ebbe a'fianchi i fratelli Carlo e Girolamo. Dopo vani tentativi sopra Trino e Ivrea contro il marchese Del Vasto, avendo seco cinquemila fanti, andò a congiungersi all'assedio di Carignano coli'esercito regio. Alla battaglia di Ceresola nel 1544, quattordici aprile, perduta dagli Spagnuoli, rimase gravemente ferito. Si fece la pace di Crespy il diciotto settembre. Non furono allora restituiti alla casa di Savoja i dominj, come era convenuto; e que'rimanendo tuttavia nelle mani de'Francesi, fu creato governatore di Chivasso. Nel 1545, dodici novembre, il re Francesco 1 lo creò suo consigliere e gentiluomo ordinario, nel 1546 quìndici agosto gli accordò una nuova condotta d'armi. Il Re Enrico II nel 1547, venticinque marzo, gli conferì il comando delle bande italiane in Piemonte, c il venticinque maggio lo confermò nelle cariche di corte. Scoppiò nuovamente la guerra in Piemonte quando nel 1551 Giulio III si alleò con Carlo V contro i Farnesi. Parve alla corte di Francia di dover proteggere i Farnesi, c nominò il maresciallo di Brissac a comandare l'esercito francese. Famoso fu allora il tentativo del Birago nel 1552 di sorprendere il castello di Milano. Erasi egli con grande temerità nascosto in Milano, giuntovi dopo lungo giro dalia Svizzera. Aveva intelligenze secrete con un Giorgio Sanese, che, confidente di Giovanni De Luna castellano del castello, aveva perciò permesso di penetrarvi senz'ostacolo. Erasi stabilito di dare di notte la scalata ad uno sperone, e il Birago doveva uscire co'suoi prodi dal nascondiglio, entrare per la via preparatagli nel castello e farsene padrone: ma le scale non furono di misura; onde all' atto della scalata nacque confusione, non si mantenne silenzio, e gli aggressori impauriti fuggirono. Tutta la trama fu scoperta. Il Sanese fu preso e squartato, e il Birago ebbe tempo di fuggire, e contro di esso si pubblicò terribile bando. Ritornò subito alla guerra in Piemonte, ove è celebrato per le sue militari imprese, particolarmente per aver forzato Ferrante Gonzaga, che comandava l'esercito nemico, ad abbandonar l'impresa di Bene. Morto Carlo duca di Savoja in Vercelli, coll'opera d'intelligenze secrete che aveva con alcuni principali del luogo, s'impadroni di Vercelli; ma non potè conservare l'acquisto per mancanza di munizioni, e quando gli Spagnuoli comparvero ad assalirlo, uscì da Vercelli. Prese poi Carde, avendo seco i fratelli Carlo e Girolamo, ma con grande spargimento di sangue, mentre tutto il presidio fu ucciso sulla breccia; e poi s'impadronì d'Ivrea e di Santhià. Famosa fu la difesa da lui fatta di Santena nel 1554 contro il duca d'Alba. Il re lo premiò col nominarlo cavaliere di San Michele, ordine in allora il più distinto in Francia, limitalo a settanta cavalieri, tra'quali nel 1554 sedici erano italiani. Oltre di ciò il re gli conferì il comando d'una compagnia d'uomini d'arme. Nel 1558 con un colpo di mano erasi impadronito di San Germano, ma subito lo perde. Fattasi finalmente la pace nel 1559. tre aprile, il Birago fu il venti agosto nominato luogotenente e governatore del marchesato di Saluzzo. Trovavasi quivi, quando nel 1572, in occasione della strage di San Bartolomeo a Parigi, ricevette l'ordine dalla corte di mettere a morte tutti gli eterodossi del marchesato. Adunò a consiglio tutti i magistrati e gli ecclesiastici, i quali unanimi votarono per la disobbedienza alla corte. Così il Birago risparmiò il massacro; il che la storia registra di buon grado a sua gloria. Quando gli fu dato il governo del saluzzese, a lui non furono consegnali i forti, forse perchè la corte di Francia non si fidava di dargli in mano un sì importante pegno. Si lagnò colla corte della diffidenza, ma non ebbe alcuna soddisfazione. Fu messo in. derisione per questo fatto da un Scipione Vimercati; per cui fu deliberato un duello, e Antonio conte di Gazzoldo dava nel suo feudo il recinto; ma non ebbe luogo il duello, perchè si scoprì che il Vimercati non era nobile. Morì il Birago in Saluzzo nel 1572. Aveva egli, durante le lunghe guerre in Piemonte, saccheggiato persino i palazzi de'duchi di Savoja, levandone anche i preziosi addobbi, che servirono poi a decorare le abitazioni de'Birago, i quali si stabilirono in Torino.

 

 

ALTOBELLO BESOZZI
Altobello Besozzi figlio di Pietro Maria Besozzi ,Appartenevano alla nobile e cospicua famiglia Besozzi, a un ramo secondario, ma importante, che risiedeva a Monvalle, un luogo fra Besozzo e Arolo, a poca distanza dalle rive del lago Maggiore. Fu alfiere , e luogotenente di fanteria nella fortezza di Arona , si ritrovò nel tentativo di riconquista di San Germano , allora occupato dalle armi  francesi . Altobello Besozzi sotto le insegne Piemontesi viene in questa impresa ferito gravemente dai mercenari svizzeri . Anche il padre Pietro Maria si segnalò nella guerra tra Francia e Piemonte militando sotto le bandiere di quest'ultimo regno.

Stemma della Famiglia  Besozzi

(Agosto 1553)

Essendo San Germano in continua situazione di pericolo dagli attacchi dei Francesi ed essendo le fortificazioni in cattivo stato . Da Vercelli, il 12 agonto 1553, il commissario ducale Tommaso Valperga impose pesanti obbligazioni a Gattinara, Rovasenda, Buronzo, Mongrando, Verrone, Candelo, Valdengo, Ternengo e Cossato per i lavori da farsi alla controscarpa delle fortificazioni di S Germano; ognuna di queste comunità doveva provvedere alla costruzione di un settore di muro, doveva portare il «suo grano» ed entro «il di de la Madona» doveva ennere pronta con i suoi guastatori («siano uomini e non putti») con «sape, badilli, ceste, barelle et pichi>- Ancora il 14 ottobre il commissario ducale richiese a Candelo, Valdengo, Salussola, Cossato, Ternengo, Gattinara, Lozzolo, Recetto e Cassinale un altro contingente di guastatori per eseguire lavori di riparazione a S. Germano. Sempre Io stesso commissario ducale il 23 gennaio l554, per «la ruina accorsa alla muraglia del castello di S. Germano» chiese a vari paesi ìl solito invio di guastatori; e l' elencazione potrebbe continuare.

Il 17 Agosto 1553 muore a Vercelli Carlo II ( o III ) Duca di Savoia , il 18 Agosto 1553 il successore Emanuele Filiberto nomina Roberto di Challant come Luogotenente Generale degli Stati Sabaudi e ordina di convocare l'assemblea in Aosta ed Ivrea per il giuramento di fedeltà dei paesi appartenenti al Ducato Savoia.

".....occupata in servitii de la cesarea maestà , de haver la medesima obedientia dale altre terre , maxime dal ducato d'Aosta , Yvrea , Santhià et San Germano , a quali lochi non potendomi transferire per le indisposicione de li tempi , et per da qui provedar alle cosse importanti del stato , il che non potrebemo far comodamente se fossemo altrove , havendo fatto ellectione de voi , m. signor Michaelle de Glectania , damovi ampla et general possanza et facoltà de andare alli loghi suddetti et far congragar in Aosta li Stati del paese , et da loro per sindaci et procuratori a nome de tuti..........  "

(Novembre 1553)

……..«L'anno 1553 in Vercelli finì suoi giorni Carlo Duca di Savoia, Principe molto pacifico e religioso, dopo che gli Imperiali, e i Francesi ebbero fatto molte scaramucce in Piemonte: gli uni condotti da Don Ferrante Gonzaga, e gli altri da Monsignor di Brissacco. Ma poco dopo il Birago con buono intendimento andò di notte a Vercelli, v'entrò, prese il Castello, et fece » molti prigioni, et massimamente il Governatore Monsignor di Scialant » Savoino: il che fu del mese di decembre ( leggasi novembre, come abbiam » già veduto per più autenliche testimonianze ). Nondimeno non havendo » potuto haver la Cittadella per non trovarsi artiglieria, et tenendosi quivi » gli Spagnuoli co 'I San Michele Maestro di Campo, et nel sopraggiunger del giorno, venendo soccorso dal campo del Gonzaga, et da Milano » speditamente Nicolo Secco Capitano di giustitia con molti cavalli roan- » dato dal Senato; i Francesi si partirono da quella ritta solo con In bravura d'haverla presa : la onde al Castellano poi fu tagliata la testa. » « Brìsacco havendo nascostamente braccio in Vercelli, vi entrò : per » la qual cagione Don Ferrante subito spedì Don Francesco da Este per » soccorrerlo, et Cesare ritrovandosi allora in Volpiano ne uscì fuori con » la Compagnia di Demitrio, et informatosi della cosa come era passata.andò alla volta d'Invrea, et poi passò a San Germano, essendo un sabato a sera ( 19 novembre 1553); dove si trovava Tiberio Brancaccio,et quivi subito ordinò che dieci cavalli caminassero verso la Cittadella di Vercelli, che si teneva per gli Imperiali, et oravi dentro il Mastro di Campo San Michele; acciochè intendessero a che termine si ritrovavano, et che gli essortassero a non temere, imperocché presto se gli saria mandato aiuto. I cavalli andorono, et nell'andata et nel ritorno hebbero sicuro il lor viaggio ; et informati a pieno di quanto era loro stato imposto, ritornarono a Cesare et d'ogni qualunque cosa fedelmente l'avvertirono. Ondo egli eletti cinquanta archibugieri della Compagnia del Brancaccio, subito la notte medesima gl'invio al San Michele, acciochò » eoo tal aiuto havesse fatto animosamente resistenza Co che si fosse proveduto di maggior soccorso. Imperò Brisacco la mattina seguente a due ore avanti giorno vedendo manifesto il pericolo di rimanervi prigione se più ci tasse indugiato, fatto bottino di più cose et particolarmente del Liocorno, gratissimo tesoro del Duca, abbandonò quella città ; et  nel passar che fece presso a San Germano, Cesare prese tempo et uscendo fuori con la Cavalleria che seco havea condotta, gli diede alla coda perseguitandolo sin a Livorno, con ricuperatone di molti Vercellesi menati in prigioni…..

Da "VATICINIUM DE BELLO GALLORUM IN PEDEMONTIO" 1557 - Barelli D.

A San Germano. Fiant aures tue intendentes in vocem deprecationis meae 

Queste parole si devono intender rivolte specialmente da Vercelli a San Germano: difatto da questo paese partirono, fra i primi, aiuti e conforti a Vercelli caduta improvvisamente per tradimento in mano dei Francesi : il celebre capitano Cesare Maggi, al servizio degli Spagnuoli uscito di Volpiano, passando per Ivrea era arrivato a S. Germano (il 19 novembre 1553. Vercelli era caduta il 18, aveva di là spediti 10 cavalieri a Vercelli acciocchè assumessero informazioni, confermassero i difensori della città nella fede, dessero loro speranza di prossimi soccorsi : nella notte stessa inviò colà 50 archibugieri, e al domani, sempre nei pressi di S. Germano, molestò colla cavalleria la retroguardia dei Francesi che avevano evacuato Vercelli.

CESARE DA NAPOLI (Cesare Masi, Cesare Maggi) Di Napoli. Conte di Annone. Signore di Moncrivello.  

NOVEMBRE 1553 - Con Francesco d’Este si avvia al recupero di Vercelli. Si muove alla testa di 1500 cavalli e di altrettanti fanti portati sulle groppe delle cavalcature, mentre il resto dell’esercito imperiale prosegue più lentamente. I francesi si ritirano dalla località tallonati da Cesare da Napoli. Prima di abbandonare Vercelli gli avversari spogliano la tomba del duca Carlo di Savoia tumulata nella chiesa di Sant’ Eusebio. A dicembre Cesare da Napoli invia milizie alla difesa di Ivrea. Ludovico da Birago assale con grande impeto il centro: il capitano spagnolo che ne è alla guardia, il Morales, si arrende a patti prima dell’arrivo dei rinforzi che si sono mossi in suo soccorso.

Da San Germano difatto partirono i primi aiuti e conforti a Vercelli caduta improvvisamente per tradimento in mano dei Francesi

.......Le terre oltra la Doria assignate per sustagio a Crescentino como a San Germano la povertà li sa stentar a darla, però una parte a queli di San Germano s'è datta, l'altra le terre che poteranno fra quatro o sei giorni como hano promesso che di farli esequtione e far pegio per il loro, non fano dilatione se non per la povertà et con tuto questo pagarano, che cossì io ho risposto per loro. A Crescentino non hanno ancor portato un soldo, però deveno venir pur al tempo detto et più presto se poterano, et cossì se farano dar et tanto più presto como se poterà.

Thoma de Valperga.

1553 novembre .

 

 

Bollettino storico-bibliografico subalpino, Volume 2 - 1897

 

(Luglio 1554)

Il Governatore di Novara , Giovan Pietro Cicogna alleato del Ducato di Savoia , invia a San Germano , messer Giovanni Bernardino Cazza al fine di provveder ad un trattato . Poi ratificato in data 14 luglio 1554. Ma nonostante il nuovo trattato , la situazione andava peggiorando , e già nel mese di Dicembre il colonnello Ludovico Vistarino , accusava i comandanti lanzichenecchi di aver distratto deliberatamente i fondi versati dalle comunità piemontesi per le fortificazioni delle proprie città e borghi , destinandoli al mantenimento dei militari : per questa ragione sottolineava il Vistarino , piazze imperiali in Piemonte quali Crescentino e San Germano erano divenute delle trappole mortali per le proprie guarnigioni , indifendibili quanto mal rifornite e con la popolazione pronta a trattare col nemico all'interno. Giudizi fortemente negativi sui fanti lanzichenecchi , ma soprattutto sui loro ufficiali.

Sembra che la piazza sangermanese avesse avuto contatti con Comandanti Francesi per un trattato segreto , tramite un ufficiale ; alfiere del Colonnello Spinola . In questo caso i contatti funzionali alla riuscita del trattato , più che creati ex novo , preesistevano sovente al trattato stesso . Il mercato di professionisti o stagionali della guerra , infatti , determinando frequenti movimenti di arruolati , attraverso confini sostanzialmente aperti , metteva sovente in contatto uomini residenti nei territori fedeli all'Impero con capitani del Valois e viceversa.

 

 

 

(Maggio 1555)

Nel maggio 1555 Em. Filiberto arrivò a Milano, conferì col duca d'Alba sul modo di liberare Volpiano assediata dai Francesi, sorprendere Moncalieri ed occupare Torino. S'affrettò quindi a Vercelli sperando che le mosse del generale di Spagna fossero coronate da vittoria ('). Invece tutto andò alla rovescia. Il duca d'Alba, che fu, come quasi tutti i capitani spagnuoli di quest' epoca, mediocre uomo di guerra, procedette con grande lentezza, ponendo a ruba il paese. Em. Filiberto angosciato il 27 giugno gli scrisse, osservando che gli abitanti di S. Germano e Crescentino « temendo più fame che cortello » abbandonavano i loro paesi « quasi fossero pestiferi », e rammaricando che i suoi sudditi i quali « credevano esser al fine de gl' affanni loro,veggendo che in luogo di migliorar di conditione, che l'infelicità ricominciacon maggior furore i soi miserabili effetti », disperati si dessero « in preda ad ogni caso di fortuna per mutar sorte, poi che non la ponno correr peggiore .

Lett. pari. Stroppiana al Duca. Vercelli, 20 agosto 1555: «Io credo che la mala sorte non ne voglia abbandonar, anzi perseguir per fin all'ultimo poi che vedo che i'Illmo sr Duca d'Alba s'he partito dall' impresa di Santià senza haver fatto cosa alchuna, salvo ruinato tutto il calamitoso nostro paese, che da Santià per fin alla Sesia non li canta più gallo né gallina, né vi he rimase substantia salvo in questa cità mezzo destratta et quasi che assediata, in San Germano nulla, salvo certe poche vittuaglie di monitione si che li miseri terrazani puono dire che la troppa vicinità di Santià li manderà mendici per il mondo a buscarsi el vivere, ma con tutta questa mina, almeno si fosse fatto qualche cosa di buono, si come s'he fatto il contrario con questa partita tanto ignominiosa et senza nessuna necessità. Che ben si può dire così poi che non se li he fatto quel che andava per expugnarla, né batteria che si possi dire calda battana, né assalto, né cosa nesuna. Io non so dunche che caggione habbia spinto sua eccla a partirsi si reppentinamente et di notte con lassar detro bagualie, balle et alchuni impedimenti del campo senza che vi fosse l'inimico qual lo sphorzasse a farlo. Questa cosa ha datto tanto spavento a tutta la patria e massime a questa cità et ardire all' inimico che sijie totalmente perduta la speranza qual n' era conceputa nel sereniss.n Re et molti che aspettano che fornita la paga si metta la guarnisone al solito, si preparano a fugire in el paese de Grisoni o de Venetiani ».

La condizione del territorio e della sicurezza degli abitanti era tale che ;"stradaroli et homini di mala sorte et conditione quali sotto pretesti di guera vano a le strade et fano assassinamenti e robarii sopra nostri subditi robando cavalli , marchansiii , dinari et ogni altra cosa che trovano , facendogli fare oltra ciò taglia non tanto a queli che vengono da logi di presidio como a tutti altri che vano da un logo a l'altro a li marchati soliti et per soi particolari negocii et per lor lavori a la campagna quali stradaroli a le volte portano croce bianca et altre volte croce rossa per fraudar dei viandanti....."

Alessandro Isimbardi - Governatore di San Germano dal 1558 al 1559

Alessandro Isimbardi, tra il 1558 e il 1559 capitano simultaneamente di tre roccaforti in Piemonte - Chivasso - San Germano - Santhià

Alessandro Isimbardi detto il Maturo,che ben in ogni sua attione maturatamen Isimbardi. te procedeua; Il quale per le continue guerre del suo tempo non potè, come hauea desiderio, dar opera a gli studi . La dove passata l'età puerile , non volendo vivere in otio, si diede allò essercitio della Militia, nella quale divenuto esperto meritò esser fatto Capitano di Fanteria sotto Girolamo Sacco Colonnello nelle guerre del Piemonte dove in più occasioni Girolamo  valorosamente venne in molta stima, e al tempo di Don Ferrando Gonzaga fù fatto Governatore di Chivasso, del qual luogo hebbe la custodia per un tempo, ne mancarono à nemici, hor con insidie, hora con manifeste minaccie,i galiardi preparamenti di tentare quella fortezza; la quale era una delle più importanti di quella provincia; perciò l'Isimbardo tenendo gli occhi aperti, & con solicitudine, e vigilantia prouedendo ciò faceua alla terra di bisogno, la difefe honoratamente, e da ftratagemmi, & dalle violentie'conferuando la sua militia di trecento fanti con prudenza, & con amore senza che alcuno terrazzano patisse o danno, ò vergogna; onde era amato, & riverito da tutti. La cui virtù non essendo nascosta al Duca di Sessa lo fece medesimamente Governatore di San Germano;nella quale ispeditione riusci più che egregio.

 

 

 

 

(Maggio 1558)

"Un altro fatto d'armi che vede la fortezza di San Germano protagonista ci viene documentato dal gottoso governatore Don Juan De Figueras in una sua lettera (30 Maggio 1558) indirizzata a Cosimo Duca di Firenze. Questo documento merita attenzione per alcune precise , dettagliate notizie che ci fornisce riguardanti il castello e le sue condizioni. Questa volta i Piemontesi erano , chi gravati dal giogo francese , chi da quello spagnolo , con Emanuele Filiberto senza ducato e , anche se siamo vicini alla pace (Chateau Cambresis - 1559) , vi erano ancora continui scontri. San Germano è tenuto dagli Spagnoli di Filippo II , mentre Santhià , che per gli accordi di Cambresis sarà poi temporaneamente presidiata dagli Spagnoli , è occupata dai Francesi di Enrico II.

 

 

LETTERA

DEL GOVERNATORE FIGUEROA

A

COSIMO DUCA DI FIRENZE

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(Archivio Mediceo - Milano )

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Illustrissimo et Eccelentissimo Signore

Non ho scritto più presto a Vostra Eccellenza il successo della perdita di San Germano , et apresso la recuperazione che s'è fatto di quel luoco , per avermi voluto prima ben chiarire come in effetto sia stato il detto successo ; et ancora per avermi in questi quatro giorni passati tormentato si malamente la gotta , che non m'ha dato luoco di poter fare quello che or farò con questa : che sarà , come è debito mio , raguagliar  particolarmente Vostra Eccellenza, come lunedì passato, che fu alli 23, venendo la notte del martes, Ludovico Birago, avendo secretamente unito in Santyà delle genti più elette che avessero nemici in Chivasso, Ibrea, Turino et altri presidij, ch' erano andati alla sfilata nel detto Santyà sin al numero de ottocento fanti eletti, guidati da un soldato di San Germano, e da altri  doi che avevano servito longamente al governo del detto luoco, ch' erano poi passati al servizio del detto Birago; se ne venne a San Germano guidati da i medemi che sapevano molto ben di che manera si faccevano le sentinelle, e la parte dove era l' aqua del fosso più bassa, e più facile a scalare senza esser sentiti; e per quella parte presso certa torreta ove non aveva sentinella, si crede, ancor con aggiuto de' soldati, che il detto Birago aveva procurato di fare andare a remettersi nelle compagnie del detto San Germano che ancor non s' è ben verificato. Introreno con quattro scale per quella parte; et intrati da sessanta in settanta uomini, se ne andoreno verso la porta; e forzata la guardia, aprirono il ponte, avanti che quelli di dentro gli potessero disturbare questo effetto: e così detti  nemici introreno; et intrati, procuroreno con ogni diligenza di avere  il castello, nel quale s' era retirato il detto governatore et il capitano Leonello Borso con dieciotto soldati, li quali si posero alla diffesa; e mentre che si deffendevano, fece venir subito il detto Birago tre pezzi d' artiglieria da bataria da Santyà, che non è discosto che doi miglia dal detto San Germano; e così detti nemici batettero il detto castello, che non è cosa che si possi chiamar deffensibile, e gittoreno a basso la porta, con un pezzo di muraglia, che quasi a piano si poteva intrare. In questo tempo che si faceva la batteria, seppe così ben fare il capitano Gioseppe de Caresana, mandato da Vercelli dal Mastro di campo San Michel per soccorso di detto castello, ch' egli, come persona pratica del paese, entrò in detto castello per la parte di fuori ( chè non erano Francesi, per bona sorte ) con trenta soldati. Entrato che fu , e repigliando animo quelli di dentro, diedero detti nemici doi asalti per la detta batteria e con scale, di modo che sempre furono rebutati con gran dannoe morte de molti de detti nemici; e mentre che questo si faceva, avendo il detto Mastro di campo avvisato alli governatori delli presidij di  Trino, Crescentino, Pontestura, Novara e Mortara, la perdita del detto luoco, ricercandoli soccorso senza perdita di tempo, e che tutti dovessero caminare a un luoco chiamato le Cassine di Stra, ch' è alla mità del camino da Vercelli a San Germano, e il detto Mastro di campo uscì con mille persone fra soldati et uomini della città, e due compagnie de cavalli ligieri, che si trovaveno in detto presidio de Vercelli, e si diedero detti governatori così bona diligenza, che quasi a un medemo tempo gionsero le genti che loro a caduno d' essi mandò: ma prima d' essi vi gionsero tutte le compagnie de cavalli ligieri che si trovavano nelli altri presidij al contorno e sopra il Novarese, ch' erano sette; lasciando che appresso caminava l' infanteria, che certo andava con gran difficultà per la pioggia grande che quel giorno faceva, et aveva fatto la notte avanti, che l' aque erano cresciute di sorte, che gli portava nel caminar grandissimo impedimento. Arrivata la detta cavalleria al detto luoco de Cassine di Stra, ove già si trovava il detto Mastro di campo San Michel, spinse alcuni cavalli corritori per pigliar lingua che cosa era de' detti nemici. Furono tolti dal loro i quattro primi; l' altri se ne ritornoreno a portar nova, com' è nemici, avendo inteso che il soccorso andava a' nostri del castello, temendo d' essere acolti in San Germano, erano usciti, e se ne ritornaveno con l' artiglieria al detto luoco di Santyà, avendo prima sachegiato detto San Germano. Inteso questo il detto Mastro di campo, e considerando che il camino che avevano a fare era poco, e che a voler la cavalleria aspettar la fanteria, non si averebbero potuto aggiongere; si resolsero tutti li detti cavalli arcabuseri che si trovorono a cavallo, d' arrivar detti nemici, e così andorono; et arrivati a loro, la compagnia del capitano Francesco Valperga, vedendo loro che erano pochi, serroreno nemici verso la detta compagnia, e pigliando esso capitano con suoi cavalli la carga, gionsero gli altri in soccorso, e diedero dentro detti Francesi tanto animosamente, che loro medemi rupero la sua fanteria che stava in una strada molto spaciosa; e così menando le mani tolsero prigioni da cento cinquanta cavalli ligeri, ducento ottanta fanti, feriti molti, e lasciato nella strada e per le campagne a quello che domanda Lodovico Birago che si vogliano relaxare: si fa conto che saranno da cento ottanta in circa morti, pochi cavalli si salvarono, e con essi si scapò Ludovico Birago e Carlo suo fratello, che rimanevano presi se non era che li soldati di Sua Maestà, intenti a seguire una bandera che se ne portava un soldato francese fugendo, diedero a' detti Biraghi comodità di poter salvarsi con la fuga. Tolsero la detta bandera, e con essa altre tre con un stendardo de cavalli, e restò prigione il capitano Pietro Maria Brisighella, il capitano Malvicino, favoriti del detto Birago, un alferes della compagnia di suo fratello, doi alfieri de cavalli, il Marchiogatto, e un luocotenente de' Svizari, morto un capitano e molti altri officiali: e se la fanteria nostra poteva arrivare a tempo, si crede che non sarebbe scapato niuno di loro. Si recuperoreno doi pezotti d' artiglieria, che detti nemici nella retirata loro avevano levato di san Germano, li quali si ritornoreno in esso. Ebbero ancora in potere quella d' essi nemici con la quale batirono il castello; ma si trovò tanto vicina già al detto Santyà, e in una stretta ove non si poteva voltare se non con forze de' guastadori, che avendo li soldati pigliato li bovi che la tiravano, e condotti chi in qua chi in là, come si suol fare, tanto più quanto che non se gli trovava capo principale, e col tempo tanto pluioso, e con la sopravenentia della notte, che furono constretti lasciarla, e ritornarsene con la vittoria e carighi di preda a San Germano. Il detto Ludovico Birago mandò poi a ricercare che si volesse fare a bona guerra, e rimandarli quattrocento quaranta soldati che si trovava a mancare. Tra Gasconi, Svizari e Italiani, se ne mandorono a Casale, a monsignor della Motta Godria, a presentar ducentosettanta tra sani e feriti. Il resto non si son trovati, che devono esser morti da li vilani per le mèsse, perchè fecero anch' essiil debito loro. Questo è quello ch' è passato nel detto successo, che Iddio per sua  infinita bontà è piaciuto che si facesse e si recuperasse il detto luoco, che ne sia sempre lodato. Et a Vostra Eccellenza basio le mani.                                                                                                                                             

Da Milano a' 30 di Maggio 1558

                                                                              D. Juan De Figueras

 

Da altra fonte di origine spagnola sappiamo che in questo fatto d'arme , interviene contro il Birago e in soccorso di San Germano , il nobile Bernabò Cavaliere di Rodi e il giovane fratello Raffaele.

"Bernabò lor fratello caualier di Rodi, tra l'altre sue fazioni soccorse valorosamente con la sua compagnia de caualli San Germano in Piemonte, e ruppe la caualeria, e fanteria de Francesi, e ricuperò alquanti pezzi di artigliarie .in queste , e altre honorate imprese vi si trouò Raffael il quarto fratello,il quale quantunque giouenetto e senza carico di gente dimostrò un valore di valente soldato portandosi nelle guerre animosamente."

 

Ludovico Birago era già noto alle cronache del nostro circondario , perchè aveva in precedenza nel 1537 contrastato nei pressi del paese gli Spagnoli , e  nel 1544 Attraversa la Dora Baltea  alla testa di 5000 fanti , si impossessa con un  fiero assalto di Crescentino e di San Germano Vercellese, cattura il capitano milanese Francesco della Croce e lo lascia libero.

Di questo fatto d'arme abbiamo un altra testimonianza che ci giunge dall'investitura al titolo nobiliare che Emanuele Filiberto concede al Capitano Giuseppe da Caresana , individuando in lui il maggior artefice del successo di Casa Savoia nella battaglia di San Germano.

Lodovico Birago, a servizio dei Francesi, prende S. Germano, ma Francesco Valperga, capitano di una compagnia di cavalli, con un’animosa carica rompe la fanteria Francese, facendo prigione 150 cavalli leggieri e ‘280 fanti; i feriti furon molti, i morti 180.

 ..............Di più dell’ anno MULVlll alli 24 di maggio avendo il sig. Ludovico Birago rubato di notte San Germano con scale’, avendo il suddetto Maestro di campo avviso la mattina, come si teneva il castello, si deliberò di soccorrerlo, e a tal effetto mandò il signor Francesco Valperga con la sua compagnia de’ cavalli, D. Francesco Maringues con la sua de’ spagnuoli, e ’l detto capitano Giuseppe con la sua d’ Italia a quella volta dando special carico ad esso capitano Giuseppe, che come fosse giunto alle Cascine di Strada, luogo vicino a S. Germano, dovesse riparare, e fortificare quelle case, acciocchè la gente, qual era uscita di Vercelli, potesse star sicura in a tanto che vi giungesse il detto Maestro di campo con altra gente, che aveva chiamata da altri presidi , e che dovesse andar a dir al Governatore di S. Germano,che facesse suo debito e che temporeggiasse un poco, che detto Maestro di campo li ‘prometteva d’ avventurar se, e tutta la gente che aveva in carico per soccorrerlo. Il detto ‘capitano Giuseppe dopo di aver riparate le case, ed avvisato il Governatore di detto S. Germano, conforme all’ ordine di detto Maestro di campo, non contento di questo, volle andar lui con trenta archibuseri parte spagnuoli , parte italiani, e guidò la cosa sì cautamente , che vi entrò a salvamento checché non si persero che cinque soldati, e come‘ fu dentro, ancorché non avesse ordine di fermarsi, allorchè vedendo il manifesto pericolo di perdersi quel. luogo, avendo già il Birago fatta la batteria alla porta con due cannoni, e che si preparavano i nemici per rimetter, il detto Capitano dispose li soldati in modo , che dando li francesi un gagliardo assalto furono ributtati, restandone morti, e feriti molti di loro. Per il che vedendo il Birago, che l’impresa non gli riusciva , volendosi ritirare a Santià , sopraggiungendoli il suddetto Maestro di campo con l’altra gente, che aveva chiamato da Novara, Trino, e Ponte-Stura restarono detti francesi rotti dalla gente di detto Maestro di campo con perdita dell’ artiglieria , e di seicento soldati tra feriti, morti e prigioni. Laonde meritamente si può dire, che la causa, e l’ instrumento principale della ricuperazione di detto S. Germano,’ e conseguentemente di detta impresa‘ fu il detto capitano Giuseppe per aver saputo bene, e animosamente eseguire quello, che dal suddetto Maestro di campo gli era ordinato con l’affezione, e prestezza, che conveniva a servizio di detta Sua Maestà Cattolica, e Nostro. Di più nel corso di molti anni nella detta guerra , il detto capitano Giuseppe ha servito a S. M. Cattolica, e a Noi con la sua compagnia non solo senza‘ stipendio della Camera, ma intrattenutala volte assai del suo patrimonio, si che per li sovra scritti servizi, e per molti altri , i quali sarebbero lunghi a narrar, che il detto capitano Giuseppe ha fatto a S. M. Cattolica, e a Noi nel corso di‘venticinque anni con le armi, col giudizio e con le facolta di.Per il che desiderando Noi, che resti perpetua memoria nei‘ posteri della servitù sua , e della gratitudine nostra, ci è parso buon, espediente, che ci debba lasciar la sua arma antica, che è un campo rosso con un mezzo brazzo armato’ con un‘ bastone in mano, e un’ aquila negra in campo giallo di sopra, ed in luogo di questa per conveniente testimonio dell’ ardir suo, qual ha più volte , come di sopra mostrato per soccorrer; combatter, e difendere le nostre fortezze, debba portar l’arma con benda gialla e negra, e in ogni campo negro due leoni gialli, o d’ oro, e nelli campi gialli due fortezze, ossiano due‘ castelli negri con un elmo aperto, e un’ immagine d’ uomo armato di sopra con una spada in la destra mano, e. uno scudo negro con una stella d’ oro nella sinistra, e un motto; di sopra , che dice virtute et fato, e meglio come qui dipinta si dimostra; e c’è parso di donargli, e decorar quest’ arma sua delli leoni per segno dell’ affezione nostra , e dell’ ardir, e virtù sua, essendo li leoni particolar impresa degli lll.mi ed EccelLmi nostri antecessori della Casa nostra.‘ E perchè viva di tempo in tempo la memoria delle sue virtuose operazioni concedemo, e volemo, che lui, e li successori di lui principalmente, e poi di casa sua in perpetuo siano privilegiati a portar quel bastone del baldachino, che l’ anno passato fu aggiunto per la nostra intrata di Vercelli, e fabbiano a portar non solo nelle solennità delle intrate de’ principi, ma in tutte le processioni, che occorreranno a farsi; e che poscia cominciar a godere di queste prerogative, e di questi onori sempre, e tanto presto quanto a lui parerà; volendo, e dichiarando,che le per le buone, ed onorate qualità , che conoscemo in M.r. Gio. Domenico Caresana pur cavalier, e conte palatino del  sacro Romano impero fratello‘ di detto capitano Giuseppe, e per la fedel servitù, che c’è stata fatta da Francesco, ed Aloigi suoi figliuoli nel passato alla guerra, e quello, che aspettiamo da loro all’avvenire, e dagli altri suoi fratelli, che tutti i lor duoi fratelli, e li figliuoli nati, e che nasceranno da loro debbano, e possano goder in perpetuo di tutti li soprascritti onori, e prerogative. Restando sempre nel primo dei figliuoli d’ esso capitano Giuseppe il bastone, e mancando lui negli altri per grado di prossimità; e se mancasse la linea ‘sua , succeda quella di suo fratello in infinito. Pertanto mandiamo, e comandiamo a tutti nostri Ministri, Officiali , Vassalli, Sudditi , e massimamente alli Governatori, Podestà, Officiali, Deputati, Consoli, Uomini, e Comunità di questa nostra città di Vercelli presenti, e futuri , e altri, a’ quali spetterà, che osservino, e facciano osservar intieramente alli suddetti capitani Giuseppe Caresana , e Gio. Domenico suo fratello , loro eredi, e successori in perpetuo come di sopra le presenti lettere nostre senza alcuna dillicoltà per quanto stimano cara la grazia nostra , e sotto pena all’_arbitrio nostro riservata, che tal è nostra mente.

In fede abbiamo firmate le presenti. Dat. in Vercelli il 15 aprile 1561.

EMANUELE FILIBERTO.

 

 

 

Già nel 1558 ,  onde evitare che le truppe Spagnole e Francesi tornassero a occupare i Castelli fortificati del Ducato e di fatto anche i villaggi , il Duca Emanuele Filiberto giungeva alla conclusione di abbandonare le difese esistenti attorno a paesi come San Germano , Desana e Cigliano " et tuti li lochi et castelle che sono nel circuito " troppo poveri demograficamente , e decise di farli abbattere per puntare sulle due piazze più affidabili dell'area ; Trino e Crescentino. Comandò quindi il suo luogotenente Giovanni Amedeo Valperga di iniziare la demolizione delle fortificazioni e dei castelli ".........squadre di guastatori che dovevano portare con sè : picchi , seguri , palli de ferro , saponi ed altri istrumenti atti a smantellar e spianar muraglie , nonchè il loro vivere che si intende a spese della comunità.........".

Non era solo un modo per ridurre le spese di guerra , ma la constatazione che una difesa troppo frammentata era più dannosa che utile.

Con lo smantellamento del vecchio castello inizia per il borgo di San Germano un breve periodo di tranquillità.