CARA PIETRO

 

Trinciato d'oro e di rosso, con il capo d'azzurro carico di un leopardo d'oro

(1440-1502)  

MAGISTRATO E GIURECONSULTO  

Cara (di Cara)  (da S. Germano Vercellese)
signori di Altesano, Borgaro; consignori di Pinerolo

PIETRO  CARA  DI  SAN  GERMANO - Un Vercellese Illustre del secolo XV

Due   figure d'uomini assai notevoli della storia subalpina del secolo XV sortirono i natale in San Germano Vercellese. L'una fu Jacobino Suigo , tipografo , l'altro del Suigo amico e incoratore , e quando necessitò anche protettore , fu Pietro figlio di Giovanni Cara , di distinta famiglia , che contava molti pubblici ufficiali al servizio dei Savoia , e tra gli altri un Giacomo mandato in missione straordinaria, quale ambasciatore, in parecchi Stati d'Italia nel 1408 , indi adoperato in più altri affari di somma importanza da Amedeo VIII e da suoi rappresentanti di qua delle Alpi. Poeti adulatori, che osservarono un ramo della famiglia stabilito fin d'allora in Carignano , dove si estinse poi nel secolo scorso in persona d'altro letterato erudito ed accademico. Vollero discesi i Cara dall'imperatore romano Caro e da una di lui figlia fondatrice di parecchie città del Piemonte: così cantò ancora nel Quattrocento quel Bassano da Mantova che a' suoi di fù salutato "secondo Virgilio" . Ma anche senza dar credito a queste fole genealogiche , la nascita designava Pietro Cara ad alte cariche dello Stato Sabaudo , e l'ingegno e le attitudini personali , venendo felicemente congiungersi con le tendenze del tempo, ne fecero uno dei promotori e diffonditori dell'umanesimo e , in genere, della cultura , nel Piemonte della seconda metà del secolo XV. Sembra che egli nascesse fra il 1430 e il 1440 , e si formò presto una larga e poderosa, benché talvolta indigesta, erudizione classica, sia approfondendosi nello studio del latino , sia coltivando anche qualche poco la lingua greca, della quale, invero nel medio evo - anche durante i secoli più oscuri - non era mai in Vercelli perduta interamente la conoscenza, restandone tracce in tutti i secoli dal VI al XIII . Fù scolaro all'università di Bologna sotto il celeberrimo dottore Andrea Barbazza ; ed è notizia , questa , che si deve all'amorevole ricordo dell'altro illustre Sangermanese del Quattrocento, il Suigo. Certo prima del del 1473 era già tornato in Piemonte, dove, creato professore di diritto nell'Università Torinese, attendeva all'insegnamento ed ai pubblici affari. Il primo dato cronologico indubbio della sua vita è appunto il soggiorno da lui fatto in Vercelli con altri dottori e lettori dello Studio di Torino dal 17 al 20 gennaio di quell'anno. Rapidi i suoi avanzamenti: il 19 ottobre 1473 stesso era già nominato avvocato fiscale , ed il 4 luglio 1475 veniva destinato ambasciatore a Venezia per un affare assai delicato e che interessava molto personalmente la duchessa reggente di Savoia , Jolanda di Francia. Lodato per un discorso da lui pronunciato in tale occasione, ed in quel torno pure, per un altra orazione inaugurale dell'Università torinese , Pietro Cara intanto si ammogliava colla bella e saggia Antonina della nobilissima famiglia dei Conti di Piossasco, e la casa degli sposi era presto rallegrata dalla nascita di un figlio - indi seguito da altri - che diventò poi a sua volta erudito in lettere e affari , sebbene meno del padre e non senza riflesso della reputazione di lui. Ricompensò i molteplici servizi fin allora prestati da Pietro Cara al governo Sabaudo una patente nobiliare conferitagli da Jolanda il 1 febbraio 1476 ; ma egli era allora sul punto di renderne altri ben maggiori. Grande influenza aveva conquistato ormai nel Canavese e nel suo Vercellese , e se valse a beneficio della sua patria quando il territorio savoino fu invaso nel 1476 medesimo dagli Sforzeschi , condotti prima in giugno-luglio da Donato Borri soprannominato Del Conte , favorito del Duca Galeazzo Maria , indi nel dicembre, dal Duca in persona. Più volte andò egli allora ambasciatore allo Sforza ed ai suoi luogotenenti , a Milano ed altrove; e quando San Germano fu assediata dai Milanesi, nessun sforzo lasciò intentato per soccorrere la piazza, benché il successo non coronasse l'opera sua e del valoroso difensore Michele di Piemonte, perché in un assalto la terra fu presa e abbandonata al sacco. Sembra che in quell'anno andasse pure ambasciatore a Luigi XI , re di Francia, e certo fu uno degli uomini che ebbero più larga parte nel reggimento dello Stato sabaudo di qua dei monti durante la prigionia di Jolanda, sorpresa e detenuta a tradimento da Carlo "il temerario" duca di Borgogna. Nel 1477 il Cara favorì l'edizione dei "Decreta ducalia Sabaudiae" fatta in Torino dal tipografo Favre o Fabri ; dieci anni dopo , ne procurò altra del Suigo. Dalla dedica di quest'ultima risulta che Pietro fu pure ambasciatore di Savoia a Sisto IV , da cui venne creato conte palatino ed ebbe offerta di maggiori onori. i quali dice il Suigo aver il Cara ricusato per modestia, chiedendo solo di essere accontentato in quanto era stato mandato a domandare al Pontefice dal Duca suo signore. Il 22 gennaio 1481 fu promosso collaterale, eminente ufficio nel Consiglio ducale. Scelto a rappresentare il Comune di Torino nella prestazione dell'omaggio della città a Carlo I nell'aprile 1485 in Chambery , pronunziò poco di poi l'orazione funebre per il minor fratello del Duca , Giacomo Ludovico di Savoia , protonotario apostolico, e quindi fu di nuovo ambasciatore a Milano nell'agosto 1487 , in occasione della grossa guerra di Saluzzo , intrigo vecchio di Francia per aver piede in italia. Il Suigo che egli incontrò allora a Milano , gli dedicò l'anno seguente la sua edizione delle "Insitutiones" giustinianee, e nel 1488 , appunto , fu il cara nominato residente ordinario di Savoia nella capitale lombarda, dove strinse relazioni e vincoli di amicizia con un infinità di letterati onde brillava in tutta Italia la Corte di Ludovico il Moro : ricorderò tra gli altri Giovanni Simonetta (lo storico di Francesco Sforza) , il celebre Ermolao Barbaro, Giovan Battista Bussi vescovo d'Aleria, ecc. Commessagli un acusa da Angelo Carletti di Chivasso , che poi la chiesa beatificò, con lettera del gennaio 1480, il 12 ottobre di quell'anno il Cara era già di ritorno a Torino; e morto poi nel marzo seguente il duca Carlo I , prestò egli omaggio e fedeltà alla di lui vedova Bianca per una parte del feudo di Alessano Inferiore che aveva intanto acquistato . Quando poi nel luglio 1490 Ludovico II , marchese di Saluzzo, che Carlo I aveva spogliato dei suoi stati , vi rientrò impensatamente in armi, presto rioccupandone la maggior parte , fu il Cara che venne di nuovo inviato ambasciatore a Milano, e fu poi tra coloro che concorsero maggiormente alla rinnovazione della lega col Moro dopo l'intervento del medesimo in Piemonte. Nel 1491 gravi dissensi turbavano i rapporti fra Nizza sabauda e Genova sforzesca, ed  a comporli ebbe parecchie missioni il Sangermanese nel maggio e nel luglio. In quel torno (novembre 1490) egli perdette il figlio secondogenito Carlo, da cui grandi cose aspettava , onde concentrò tutto il suo affetto nel primogenito Giovan Scipione , di cui già da più anni eveva affidata l'educazione all'illustre professore ed educatore Umberto Clerico . Ne però le traversie , o le cure della famiglia, erano sufficienti a distoglierlo dalle relazioni letterarie o dai pubblici affari: il 16 febbraio 1492, Cristoforo da Bollate, letterato e ambasciatore sforzesco a torino, gli dedicava una sua edizione del "De varietate fortunae" di Poggio Bracciolini ; in marzo, Pietro riceveva commissione dalla duchessa Bianca di comporre certe questioni di confine con Milano; in agosto, sottoscriveva ad una conferma ducale di capitoli proposti dai tre stati. Nella primavera del 1494 fu rimandato ambasciatore a Roma a congratularsi per l'elezione di papa Alessandro VI , e in tale occasione pronunziò un altro discorso che riscosse grande plauso dei dotti, fra cui di Ermolao Barbaro e di Pomponio Leto , tantochè Ludovico Tizzoni dei conti di Desana , celebre poi egli pure per lettere e versi a Carlo V e centro di una  piccola corte letteraria cui esaltò il novellatore Matteo Bandello , volle farsene subito editore in Roma stessa. Niuna meraviglia pertanto che , cresciuta sempre più la fama del Cara , a lui fosse affidato l'anno seguente l'incarico di comporre il discorso per la venuta di Carlo VIII a Torino; e della spedizione del re Francese narrò egli poi i casi in un altro breve scritto sulla fine del 1495, conducendo il racconto fino alla pace del 10 ottobre. Ed  a quel momento di questa pace andava egli ancora da capo ambasciatore a Milano; poi di nuovo, nella primavera seguente, per la restituzione reciproca delle prede; e forse compose l'ardito proclama che Bianca indirizzò ai suoi popoli in occasione di alcune scorrerie dei collegati italici in Piemonte a quel tempo. Ma pio insieme quanto doto e esperto negoziatore, disegnava intanto fondare una cappella in Torino, e di ciò trattava col vescovo e cardinale Domenico Maria Della Rovere. Morto poi il giovanetto duca Carlo Giovanni Amedeo , fu un altro discorso del Cara che inaugurò gli Stati Generali convocati dal nuovo duca Filippo II , il famoso Senza Terra , che di sè aveva riempito quasi mezzo secolo di storia subalpina. E questo discorso ottenne lodi speciali da un illustre prelato e politico, Aimone da Monfalcone, vescovo di Losanna , che glielo richiese subito dopo con viva insistenza. Poco distante il 9 settembre, nuova ambasciata, e il 13 nuova orazione , questa volta a Massimiliano, re dei Romani, a Vigevano. Il 1 dicembre 1497, morto anche Filippo II , Pietro fu confermato collaterale dal di lui successore Filippo il Bello . Per gli sati convocati da questo principe, il 2 dicembre 1498 , recitò il Cara un ultimo discorso; indi , curando essenzialmente il compimento dell'educazione del figliolo, ed intrattenendo relazioni letterarie con Giaso del Magno , con Filippo Vagnone, con Domenico Macaneo e con altri minori poeti e letterati subalpini di cui amò circondarsi, visse ancora fin oltre il 23 gennaio 1501, ma era certo già morto, sebbene da non molto tempo il 18 ottobre 1502. Pietro cara fu dunque uomo coltissimo, salutato insigne oratore secondo il gusto dei suioi tempi, amico e protettore di letterati, promotore dell'arte tipografica, sembra a tempo perso verseggiatore, se non poeta egli stesso . Alti ufficitenne inoltre nello Stato sabaudo, e molte importanti e delicate missioni ebbe dai suoi principi a papi ed imperatori, re, principi e repubbliche per oggetti svariati.

Pietro Cara nella biografia dell'Enciclopedia Treccani

CARA (di Cara, Kara), Pietro. - Nacque a San Germano Vercellese, figlio di Giovanni, intorno al 1440, da una famiglia che prima di lui non aveva mai avuto componenti illustri e che si fossero distinti. Il Cara fu un "homo novus" e solo grazie al propri meriti conseguì la patente di nobiltà, concessa il 1º febbr. 1476 dalla duchessa Iolanda a lui e a tutti i componenti della sua famiglia, presenti e futuri, sia diretti sia collaterali.È indubbio che egli provenisse da una casa agiata, se già il padre, come poi il C. stesso, era stato mandato a studiare diritto a Bologna. Il Suigo, che fornì tale testimonianza (in Aureae luculentissimaeque...), aggiunse anche che Giovanni aveva preso parte al concilio di Basilea (1431-49) per ordine del duca sabaudo; ma non precisò quale ne fossero state le mansioni. Egualmente vaga infine, e da accogliere anche con maggior cautela, la notizia ripetuta da alcuni storici, della partecipazione, nel 1408, di un Giacomo Cara ad una imprecisata legazione inviata da Amedeo VIII.I primi dati biografici del Cara. riguardano i suoi studi giuridici a Bologna; qui fu allievo del giurista siciliano Andrea Barbazza, per il quale il Cara conservò in seguito stima profonda e incondizionata ammirazione. Tutto lascia presumere, pur in assenza di ogni notizia precisa in proposito, che il, Cara, sotto la guida di idonei maestri e per una naturale alle lettere, giungesse a Bologna già con una buona conoscenza del latino e, in misura minore, del greco. La residenza in questo centro vivissimo di studi umanistici contribuì certo in modo fondamentale alla formazione del suo gusto e del suo orientamento culturale, facendo di lui uno dei pochi rappresentanti dell'umanesimo in Piemonte.Si è congetturato che tra il suo soggiorno bolognese e il ritorno definitivo in patria egli avesse vissuto in altre città dell'Italia settentrionale e particolarmente a Pavia; ma, al di là della generica considerazione ch'era consuetudine dei tempi andare peregrinando di centro in centro universitario, non esistono testimonianze.È ignoto quando facesse ritorno in Piemonte e in quale campo di attività esordisse; ma nel dicembre 1468 egli vi era certo già partecipe della cosa pubblica dal momento che in una riunione del 10 di tale mese il Consiglio di Vercelli lo indicava come uno dei destinatari, a Torino, assieme a Pantaleone da Confienza e a Guglielmo Sandigliano, di una propria comunicazione. Sebbene non sia detto a quale titolo dovessero essere informati, è lecito presumere che facessero parte del Consiglio ducale cismontano o fossero in un rapporto stretto con esso, dal momento che a tale organo faceva capo ogni sorta di deliberazioni o atti che riguardassero in genere il governo del ducato. Se si aggiunge poi la peculiare situazione dello Studio torinese collegato strettamente al Consiglio ducale cismontano e la sicura appartenenza al primo dei due personaggi nominati insieme al Cara, ne deriva che questi dovette svolgere i suoi primi uffici presso l'uno o l'altro istituto o forse anche presso tutti e due contemporaneamente.Poco più di quattro anni dopo, il Cara appare nuovamente legato all'ambiente universitario e la qualifica di dottore in legge che lo accomuna agli altri tre membri costituenti con lui la commissione inviata a spese pubbliche in Vercelli (e alloggiata all'osteria della Stella) permette di dedurre con una certa sicurezza ch'egli fosse incaricato, come certo i colleghi, di un insegnamento nell'ateneo torinese. All'inaugurazione di un anno accademico è del resto ricollegata una delle sue opere giovanili, l'Oratio habita in principio studii in quo continentur scientiarum inventores et laudes che, non datata, è concordemente ritenuta anteriore almeno al 1474. Parrebbe strano che egli l'avesse scritta senza avere un legame didattico con l'università, tanto più che esisteva la consuetudine che i professori di nuova nomina inaugurassero in tal modo la loro carriera. L'insegnamento, di cui una sicura conferma è nella patente di nobiltà del 10 febbr. 1476, gli venne nuovamente conferito da Carlo I il 18 nov. 1482 con la motivazione di affidare ad uomini "famosos" l'attività didattica, di cui si dice che è essenziale per la formazione di buoni funzionari. Come lettore di diritto dovette avere un certo seguito, anche se sono del tutto inaccettabili le affermazioni fortemente adulatorie del Clerico (in Aureae luculentissimaeque...), secondo cui la sua fama avrebbe attratto studenti dalle più remote contrade europee. Non è noto quale fu la materia dei suoi corsi; mentre è rimasta testimonianza della sua singolare predilezione, fra i testi basilari della scienza giuridica, per le Institutiones giustinianee, che considerava il fondamento di tutto il diritto.Più documentata, anche perché preminente, la carriera politica del Cara. All'ufficio di avvocato fiscale unico e generale presso il Consiglio ducale cismontano pervenne il 19 ott. 1473, quando Iolanda di Savoia gli conferì l'alto incarico, scegliendolo "inter multos" non solo per le sue qualità di profonda cultura. rettitudine e devozione, ma anche per la testimonianza di fedeltà prestata "incredibili... facto, periculo, in rebus quidem et parvis et arduis". Oltre che da questi accenni, il legame del Cara con il governo ducale, anteriormente a tale data, è confermato dalla qualifica di "consiliarius Domini" che gli è data nella patente stessa. Da questo momento, con immutata fortuna e per oltre un venticinquennio il Cara fece parte, in posizioni sempre più alte, della cerchia dei consiglieri ducali. Ma, se pure non gli mancarono buone doti politiche, prevalsero in lui quelle di saggio amministratore e fu, se non determinante, certo importantissima alla sua scelta la fama di oratore conseguita assai presto in Torino e tosto in vari Stati italiani. Cosicché, accanto ai compiti strettamente legati alla carica conferita, il Cara fu spesso adibito a legazioni nelle quali, in veste di oratore ufficiale dei duchi sabaudi, pronuncio orazioni da lui stesso composte. Inviato il 4 luglio 1475 a Venezia dalla duchessa Iolanda, per il riscatto di una preziosissima croce genunata e di altri gioielli ducali, e giuntovi verso il 20 di detto mese, vi pronunciava davanti al doge e al Senato un'orazione "congratulatoria" in lode della Repubblica che produsse viva ammirazione e gli valse, secondo la testimonianza del Clerico e di Bassano da Mantova, un pubblico decreto che ne stabilì la stampa. È dubbio tuttavia che la deliberazione avesse effetto dal momento che i repertori di incunaboli non citano tale edizione. A Venezia il Cara. rimase un lungo periodo, ma non oltre il dicembre, dal momento che il 27 di tale mese si trovava a Carignano.L'appartenenza al Consiglio cismontano gli valse l'anno successivo una serie di incarichi e trattative con la corte di Milano. Nella confusa situazione politica piemontese seguita alla prigionia della duchessa ad opera del duca di Borgogna Carlo il Temerario (28 giugno 1476) fu infatti il Consiglio cismontano, d'intesa con l'Assemblea dei tre Stati, ad assumere le cure del governo e a dover provvedere ad arginare le varie insidie che minacciavano le terre ducali. La minaccia più grave fu portata da Galeazzo Maria Sforza che, ripetutamente, nella seconda metà del 1476 invase alcune terre del Piemonte. Il Cara, cui fu affidata in gran parte l'opera di cauta mediazione con lo Sforza, si recò più volte presso di lui o i suoi luogotenenti senza peraltro riportare mai alcun successo dai colloqui. Montanaro (19 giug.) e San Germano (22 novembre) furono prese dalle truppe milanesi nonostante i tentativi di dissuasione del Consiglio cismontano. Solo nel dicembre Galeazzo, obbedendo alle intimazioni di Luigi XI di Francia, accolse benevolmente l'ambasciata piemontese guidata, oltre che dal Cara, da Ambrogio da Vignate, e annunciò la sua volontà di sgombrare il Piemonte. L'anno successivo (1477), con un compito che non è noto, il Cara fu inviato a Roma presso Sisto IV e vi rimase quattro mesi; il pontefice gli mostrò il proprio favore insignendolo del titolo di conte palatino. Nel 1478 la nuova crisi, apertasi in Piemonte in seguito alla morte della reggente Iolanda e alla minore età dell'erede al trono fu occasione, per il Consiglio cismontano e per l'Assemblea dei tre Stati, di azioni dirette ad affermare una propria volontà politica, in particolare una supremazia della fazione piemontese su quella savoiarda nella tutela del duca pupillo. Designato in un primo tempo dai rappresentanti dei Comuni piemontesi facenti parte dell'Assemblea insieme ad altri tre personaggi per essere inviato a Luigi XI, il Cara si recò poco dopo presso il monarca francese, facendo parte di una ambasceria aumentata di altri quattro membri, poiché la designazione dei Comuni non era rappresentativa della volontà dell'intera assemblea.Il 22 genn. 1481 il Cara, che faceva ancora parte del Consiglio cismontano, ne veniva promosso collaterale. Degli anni del regno di Filiberto I non restano testimonianze che riguardino in particolare l'attività del Cara; ma la sua fortuna non doveva essere scemata, dal momento che nell'aprile del 1485 egli fu designato dal Comune di Torino a rappresentarlo nella prestazione di omaggio della città al nuovo duca, Carlo I, in Chambéry. Poco dopo, il 31 luglio, gli veniva affidata la composizione e la pronuncia dell'orazione funebre per la morte di Giacomo Ludovico di Savoia, fratello del sovrano. Le guerre scatenate dal bellicoso Carlo I contro il marchese di Saluzzo e le inevitabili ripercussioni nella vicina corte sforzesca impegnavano nuovamente il C. in un'intensa attività di ambasciatore presso Ludovico il Moro. Recatosi presso di lui nell'agosto 1487, l'anno successivo il Cara venne nominato residente ordinario di Savoia a Milano e ritornava in patria nel 1489, forse prima dell'ottobre. Dai primi mesi del 1487, Se non già prima, la posizione del Cara nella corte sabauda si era rafforzata: dal maggio di quell'anno infatti, fino alla fine della sua carriera, egli compare sempre nel numero ristretto dei consiglieri ducali, facendo con tutta probabilità ormai parte di quella cerchia di alti dignitari, il Consiglio "cum domino", che affiancava il duca nel governo. La reggenza della duchessa Bianca segnò il momento della sua massima auge e costituisce il periodo in cui forse meglio si coglie l'apporto personale del Cara alla politica sabauda, caratterizzato, per il fatto stesso d'essere piemontese, da una chiara propensione per l'alleanza sforzesca e, parallelamente, dall'avversione per la politica filofrancese sostenuta dalla parte savoiarda e da Filippo Senzaterra.Nel 1490 la ripresa delle ostilità da parte di Ludovico II di Saluzzo e l'ambigua, condotta del Moro schieratosi a favore di quest'ultimo riportarono a Milano, più volte, il Cara, che contribuiva alla stipulazione del trattato di alleanza con lo Sforza (24 luglio) riannodando con lui i buoni rapporti che si erano temporancamente guastati. Dal maggio al luglio 1491 fu impegnato in un'opera di mediazione tra Genova, sforzesca, e Nizza, sabauda, fra le quali fin dal 1489 si era instaurato un regime piratesco di reciproco danneggiamento. Inviato a Nizza come plenipotenziario, vi trascorse due mesi senza poter trattare per l'assenza dei genovesi; né miglior esito ebbe poco dopo il suo incontro e i colloqui con Cristoforo da Bollate, senatore della corte sforzesca e amico personale del Cara. Nel marzo 1492 si occupò, forse solo marginalmente, della composizione di una questione di confini con Milano che, successivamente, almeno nell'ottobre 1495 e nella primavera 1496, era meta di nuovi viaggi del C., ancora inviato per il disbrigo di pubblici incarichi. Dal 1493 al 1498 una serie ininterrotta di grandi eventi politici fu occasione per il Cara di cimentarsi come oratore e forse a questi anni appartengono i suoi migliori componimenti. L'orazione pronunciata il 22 maggio 1493 a Roma dinanzi al nuovo pontefice Alessandro VI e contenente le felicitazioni ducali per l'elezione gli valse vasti consensi e l'edizione di Lodovico Tizzoni. Il passaggio di Carlo VIII a Torino (settembre 1494) fu sottolineato, oltre che dalla fastosa accoglienza voluta dalla duchessa Bianca, da un entusiastico discorso pronunciato dall'erede al trono, il fanciullo Carlo Giovanni Amedeo, e composto per la circostanza dal Cara che, forse poco dopo, descrisse in un laconico e brevissimo resoconto (Breviarium gestorumin Italia a Carolo octavo Gallorum rege) la spedizione effettuata in Italia dal sovrano francese fino alla pace del 10 ottobre di quell'anno. L'avvento al trono di Filippo II Senzaterra fu celebrato da un suo discorso, ch'egli stesso declamò all'inaugurazione degli Stati generali convocati dal nuovo duca il 9 giugno 1496. Oramai non più partecipe diretto della politica ducale, sebbene mantenesse formalmente immutata la sua alta posizione di funzionario pubblico, il Cara era pur sempre tenuto in gran conto per le sue qualità di oratore e a lui fu affidata l'orazione ufficiale per l'imperatore Massimiliano, che pronunciò a Vigevano il 13 sett. 1496. Del 2 dic. 1498 infine, è l'ultimo discorso, ch'ebbe luogo nuovamente di fronte agli Stati generali convocati da Filiberto II, succeduto l'anno precedente al padre. Confermato anche da questo principe nella sua carica di collaterale (1º dic. 1497), il Cara continuava nei suoi uffici fino alla fine del gennaio 1499. Dopo il 26 di tale mese infatti non compare più nelle sottoscrizioni dei documenti ufficiali del ducato.Le orazioni del Cara sono pervenute, in numero di nove, nell'opera Aureae luculentissimaeque Petri Carae... orationes... additis eiusdem ad claros viros simul et a doctis ad ipssum Caram et de eo epistolis..., Augusta Taurinorum 1520, curata da Giovanni Bremio e stampata per volontà del figlio Scipione, che volle in tal modo onorare la memoria paterna. Strettamente connesse alla sua attività politica e composte ogni volta per solennizzare un evento di rilevanza pubblica, hanno il carattere e il significato di discorsi d'occasione e non vanno oltre i limiti posti dall'avvenimento celebrato. Pure, il Cara rimane, nella schiera dei minori, un rappresentante di quell'eloquenza politica che, quale genere letterario mutuato dall'età classica, rinacque con l'umanesimo. Né pare irrilevante che le sue orazioni trovarono vasti e immediati consensi presso i contemporanei, che furono elogiate da Pomponio Leto e da Ermolao Barbaro (in Aureae luculentissimaeque...), per non citare che i più noti umanisti; che gli valsero notorietà e onori.Frammiste alle orazioni (e, allo stesso modo, in un ordine che non è quello cronologico) ci sono giunte alcune lettere di cui il Cara fu autore o destinatario. Esse confermano con maggior evidenza l'atteggiamento umanistico del Cara scrittore e permettono al tempo stesso di intravedere che l'adesione ai canoni della nuova cultura nasceva da un'intima convinzione. I suoi corrispondenti sono giuristi, come il Cara cultori delle lettere; ma anche letterati di professione, circostanza che testimonia come gli interessi e le tendenze di tipo umanistico gli fossero riconosciute e attribuite dai contemporanei. Giorgio Floro, giurista e lettore di retorica di una certa fama, lo disse "Moecenas"; l'illustre E. Barbaro gli inviò la descrizione di un convito di nozze in casa Trivulzio, che è nella scia della migliore tradizione classica; G. Simonetta, l'autore dei 31 libri Rerum gestarum Francisci Sphortiae Vicecomitis Mediolanensium, gli sottopose la sua opera manoscritta per averne un giudizio; Cristoforo da Bollate gli dedicò l'edizione del quarto libro del De varietate fortunae di Poggio Bracciolini. Meno disinteressati, ma pur sempre valida testimonianza, i versi cortigiani di Bassano da Mantova, un curioso tipo di umanista divenuto poi poeta maccheronico, e le lettere adulatorie di Ubertino Clerico, che fu maestro del figlio Scipione. Né gli mancò la stima e l'amicizia di Filippo Vagnone che, a giudizio del Vinay, fu, assieme al Cara, il solo rappresentante in Piemonte della nuova cultura.Fra i meriti del C. non trascurabile fu lo impulso dato all'arte della stampa che aveva fatto la sua comparsa in Piemonte solo intorno al 1470. Jean Fabre stampò dietro incitamento e a cura del Cara i Decreta ducalia Sabaudiae (Torino [17 novembre] 1477). Il tipografo Iacobino Suigo, nativo come lui di San Germano, si stabilì per un periodo a Torino, probabilmente su suo invito. Gran parte delle sue edizioni attestano il legame di amicizia e di riconoscenza per il patrono che contribuì ad ottenergli la protezione ufficiale del governo ducale. Sei delle sue edizioni sono precedute da epistole dedicatorie al Cara: la Lectura prima super sexto libro Decretalium di Domenico da San Gimignano (Torino 10 apr. 1487), che non ci è giunta; i Decreta ducalia Sabaudiae (Torino [dopo il 6 ott. 1487]), le Institutiones Iustiniani (Torino 21 apr. 1488); il Tractatus iuris (Torino 22 apr. 1490); la Lectura super Clementinis di Francesco Zabarella (Torino 23 ag. 1492) e l'Opus super usibus feudorum di Baldo degli Ubaldi ([Lione] 28 ag. 1497). A questo tipografo si deve anche la stampa di alcune opere del Cara: nei Decreta ducalia Sabaudiae è inserita ai ff. 94r-96r l'orazione o consolatoria a Carlo I per la morte del fratello. L'orazione ad Alessandro VI papa, già stampata a Roma da Stefano Plannck dopo il 21 maggio 1493, fu da lui ristampata a Torino l'anno successivo. Le orazioni a Filippo II di Savoia e all'imperatore Massimiliano furono edite a Lione rispettivamente dopo l'11 giugno 1496 e dopo il 13 sett. 1496.Va inoltre ricordata la sua attività di giureconsulto, cui si accenna di frequente nelle opere citate, e l'attitudine alla poesia astrologica, testimoniata da alcuni suoi contemporanei, non più apprezzabile per una mancata tradizione dei suoi componimenti poetici.Quanto alla sua vita privata, infine, si sa che sposò una nobildonna appartenente ad una delle famiglie più notabili del Piemonte, Antonina Piossasco di Scalenghe, che gli diede tre figli: Scipione, nato il 1º febbr. 1476; Carlo, che morì fanciullo il 10 nov. 1490; Ascanio.Scipione, la cui educazione fu modellata sui precetti della migliore trattatistica umanistica, raggiunse, certo anche per influsso della notorietà paterna, alti gradi nella vita pubblica e insegnò presso lo Studio torinese quale professore di diritto canonico.Quanto al suo patrimonio, è ricordato nelle patenti l'acquisto da Enrico Basadonna di una parte di Altessano Inferiore di cui la duchessa Iolanda gli riconobbe la signoria (30 nov. 1470). Filiberto I la riconfermò il 14 apr. 1483, e la duchessa Bianca, con patente più ampia, oltre a riaffermare i suoi diritti preesistenti, decretava anche una sua parziale signoria su Borgaro Torinese (29 marzo 1490).Il Cara morì in data non conosciuta; ma certo compresa tra il 25 genn. 1501 e il 18 ott. 1502. Un suo ritratto si trova nella sede della Corte d'appello di Torino e un monumento gli fu eretto nella nativa San Germano (21 maggio 1899).

IL TESTAMENTO DI PIETRO CARA

Fu il 4 aprile 1499 che Pietro Cara , dichiarando classicamente di avere ancora una < mens sana in corpore sano > dettò il suo testamento a Torino nella sacrestia della chiesa degli Agostiniani al notaio Bernardo Sapientis di Piobesi ma cittadino di Torino . Furono testimoni Taddeo da Ivrea priore , Germano de Bassis , Dionigi Della Chiesa di Lione e Giovanni Battista di Chieri , frati del convento , il doctor utriusque Pietro de Andorio di Santhià , Guglielmo Trivero causidico di Torino , Lamberto Nitardi figlio del segretario ducale Pietro e Giorgio Mariani di Torino. Al momento di testare Pietro Cara si dichiara << iuris utriusque doctor , milles , ducalis consiliarius et collateralis >> cioè laureato in legge , nobile e membro del Consiglio ducale di Torino che era anche il Tribunale Supremo del Piemonte sabaudo. Come d'uso nei testamenti del tempo , la prima parte dell'atto contiene disposizioni per la sepoltura e lasciti per opere pie , dopo una generica affermazione di provvedere da vivi a che non nascano discordie tra gli eredi ed una abituale raccomandazione dell'anima propria alla misericordia di Dio. In quest'ultima formula vengono elencati anche i Santi che egli dichiara a lui più cari : S. Agostino , S. Girolamo tra i Padri della Chiesa ; S. Eusebio e S. Germano venerati nel Vercellese e S. Francesco e S. Bernardino da Siena cari ai << moderni >> .

Le sue preferenze sono sottolineate anche dalla scelta della sepoltura in abito francescano e nella cappella di famiglia situata nella chiesa di S. Francesco vicino all'altare dei quattro Dottori della Chiesa davanti al coro dove era già sepolto suo figlio Carlo. Egli aveva anche ottenuto dai Francescani la << grazia >> della partecipazione ai suffragi dell'ordine. Per questo in caso di morte fuori Torino , chiede di essere seppellito nella chiesa del convento francescano del posto se esiste. Con tali nette preferenze spirituali desta una certa meraviglia , l'aver scelto per l'atto notarile il convento degli Agostiniani . La vicinanza di abitazione non pare elemento decisivo se essa coincide con i locali lasciati al figlio Scipione nella parrocchia di S. Stefano a quasi ugual distanza tra le chiese di S. Francesco e di S. Agostino. Amicizia sua o di suo figlioo dei Piossasco-Scalenghe con il priore del convento ? Oppure a S. Francesco il Cara pensò soltanto perchè vi si trovava la tomba di famiglia dove già riposava suo figlio Carlo , mentre successivamente gli interessi culturali avvicinarono Pietro agli Agostiniani più chiaramente aperti alla corrente umanistica ?. I legati per opere pie sono così ripartiti: 100 fiorini al convento di S. Francesco per istituire una messa settimanale ( al lunedì ) di suffragio per tutti i defunti all'altare della cappella di famiglia , 100 fiorini al convento di S. Agostino per lo stesso scopo ( qui il giorno prescelto è il sabato ) , 10 fiorini alla Cattedrale di Torino , 10 fiorini al Convento della Madonna degli Angeli , 50 fiorini per costituire doti a ragazze povere. Un totale dunque di 270 fiorini va in beneficenza. Due disposizioni riguardano invece conti in sospeso : la restituzione dell'eventuale mal tolto << iuste et legiptime habere debentibus.. ad iudicium Sancte Matris Ecclesie >> che metteva a posto eventualmente la sua coscienza ed evitava noie legali agli eredi col pretesto dell'usura e la remissione all'amministrazione ducale di 200 fiorini sulla somma << satis bona et egregia >> degli arretrati degli stipendi dovutogli , della rifusione per spese per ambascerie ... a cui si unisce una preghiera al duca di << aver per raccomandati gli eredi >> e di versare loro il resto.

Si passa quindi ai lasciti che riguardano le persone di famiglia o della parentela . Alle sorelle Ottina , moglie di Giovanni Cara , nobile , detto << de canonico >>e Caterina moglie di Tommaso Mangino , vengono lasciati 10 fiorini una tantum ed il completo possesso della dote versata ma non specificata. Alla moglie Antonina di Piossasco-Scalenghe resta l'amministrazione e l'usufrutto di tutti i beni assieme all'erede universale vita natural durante purchè non si risposi e non richieda la dote . Nel caso contragga un nuovo matrimonio od esiga la sua dote le saranno tolte l'amministrazione e l'usufrutto dei beni , ma le dovranno essere versati i 350 fiorini di dote effettivamente sborsati dai Piossasco , rimessi tutti i diritti che Pietro avrebbe avuto sulla somma restante promessagli all'atto del matrimonio con rogito del notaio Filippo Reimondi di Vigone in data 20-11-1481 e consegnati abiti e << iocalia>> comunque in suo uso , mentre per la controdote fattale dal testatore ci si rimetterà alle consuetudini locali. Se invece senza risposarsi e senza richiedere la dote , la moglie vorrà vivere da sola e non con l'erede universale , le dovrà essere garantita un'abitazione decentemente ammobigliata e metà delle rendite dei beni immobili con l'obbligo però di contribuire pro parte alle spese . Preferendo essa invece ritirarsi presso i suoi fratelli nel castello di Scalenghe , le dovranno essere sborsati 100 fiorini all'anno metà a S. Martino e metà al primo maggio e gli 8 sacchi di grano annui che i Piossasco-Scalenghe dovevano al testatore in base al contratto nuziale. A Bernardina , figlia naturale e legittima sua e di Antonina di Piossasco , e moglie moglie di Guglielmo dei signori di Rivalta , Trana e Orbassano , Cara lascia il pieno possesso della dote di 5000 fiorini parvi ponderis da lui consessale con atto rogato dai notai Giovanni de Bondonis di Ronsecco e Lorenzotto Maina di Poirino in data 25-7-1496 . Si tratta di 3000 fiorini di Savoia in contanti più terreni con grangia , edifici e diritti vari ad Altessano Inferiore . In più al momento della successione l'erede le verserà una tantum 25 fiorini. In caso di vedovanza , Bernardina dovrà disporre , nella casa dell'erede e vita natural durante , di due camere a sua scelta , di metà dell'orto e dell'uso della cucina e potrà godere l'usufrutto di 7 giornate circa di terreno nel Comune di Torino nella zona detta << ad Barbarinum>> . Ma le è vietato alienare immobili o diritti perchè tutto deve restare nella famiglia Cara. Erede universale è nominato Scipione figlio naturale legittimato con successivi atti ducali del 22-6-1484 , 1-8-1486 , 14-2-1491. A lui vengono lasciati tutti i beni ed in particolare : 1 casa a Torino nella parrocchia di S. Stefano con entrata comune anche agli eredi di Cristoforo Nicelli , all'abate di Rivalta e a Giovanni Donati di Santhià ( la casa evidentemente parte di un isolato , era stata acquistata appunto da Giovanni Ludovico Nicelli erede di Cristoforo ) ; 8 giornate di coltivo e prato nel Comune di Torino in località << de Avillo >> acquistate dai Nigris di Valsesia , 1 casa << bianca a tre piani >> situata vicino alla piazza di San Germano Vercellese confinante con quella del Solaro e dei Mangino e 9 giornate di coltivo e prato sempre a San Germano. Gli vengono legati inoltre tutti i libri di diritto civile e canonico di proprietà del testatore e gli è riservato il diritto all'abitazione, e le proprietà di locali per aprire lo studio legale a Torino in un'altra casa diversa . Libri , abitazione e vitto vengono lasciati a Scipione soltanto se egli proseguirà gli studi e si laureerà in utroque ; egli però spartire beni e usufrutto con altri eventuali eredi maschi legittimi nel caso che nascessero ancora . 

Mancando figli << postumi >> tutto sarà suo. Segue una lunga serie di clausole per garantire la permanenza dei beni immobili e dei diritti vari nella linea degli eredi maschi di Scipione , di eventuali figli postumi e dei parenti cara di S. Germano. In caso di mancanza di eredi maschi ( le donne sono sempre scartate dalla successione ) tutti i beni a Torino e nel Vercellese dovranno servire alla costituzione di un Collegio per studenti di diritto allogato nella casa di cara a Torino . E nel caso che l'Università si estingua , i beni dovranno passare all'Ospedale per i poveri di Torino e , rispettivamente di S. Germano Vercellese. A tutti gli eredi è imposto l'obbligo di portare il cognome << de Cara>> ed è proibita l'alienazione dei beni e diritti del testatore acquistati a Torino , Altessano , Borgaro , S. Germano , Tronzano , Carisio , Viancino , Crova e Vercelli. Nel caso che qualcuno degli eredi disonorasse il nome di famiglia in seguito a condanna giudiziaria per delitti infamanti , egli dovrà essere escluso a tutti gli effetti dalla successione e dal possesso dei beni ereditati dal << fondatore della famiglia>> . Nella formula conclusiva si dichiara espressamente la nullità di ogni testamento o codicillo redatto anteriormente in qualunque forma << si que fortassis facta reperirentur >> . Si è dunque di fronte alle sue vere ultime volontà. Il testamento fornisce qualche notizia ( genealogica più che biografica ) ma sopratutto permette di cogliere dal vivo il nascere di una mentalità << nobiliare >> ( più che aristocratica ) all'interno del ceto dei laureati provenienti dalla borghesia o meglio dal notabiliato provinciale. Il titolo accademico apre la via ad impieghi nell'0amministrazione comunale e ducale ; lo stipendio e gli emolumenti vari che se ne ricavano costituiscono il grosso delle entrate e servono all'acquisto di terreni e diritti feudali nel paese d'origine e nei dintorni di Torino oltre ad una casa ( o parte di palazzo ) in una zona-bene in città. Dal duca si ottiene poi la << nobilitazione >> che permette un matrimonio con una donna di antica nobiltà. La mancanza di eredi maschi nati da tale unione porta alla legittimazione del figlio naturale superstite a cui nella successione si surrogano soltanto i maschi della parentela con l'obbligo del mantenimento del cognome ed il vincolo del iniziale messo insieme dal fondatore della famiglia in attesa che si diffondano gli istituti del maggiorasco e del fidecommesso. E' tutto un mondo che preme sotto la solennità tecnica delle formule , naturali in un giurista di professione ma che acquistano qui anche una funzione << retorica nobilitante>> .

 

 

Pietro Cara

 nobile uomo, dotto giurisconsulto, e letterato •celebre a'suoi tempi, nativo di san Germano in quel di Vercelli, già professore di leggi nella nostra Università, avocato fiscal generale, indi senatore, ambasciatore a vari principi, ed oratore presso le corti principali dei nostri contorni nelle più brillanti occasioni, cavaliere aureato, e protettore dei begl'ingegni. Tanti titoli dettati dal merito del Cara non gli farebbero aver luogo in questo catalogo ; ma avendo egli composto un'orazione in lode particolarmente delle scienze, e degli inventori delle medesime, e favellandovi due volte ex professo della medicina, con dipingerci lo stato, nel quale allora si trovava, non possiamo far di meno di recarne in questo luogo le parole. Tale orazione va stampata da Pietro Paolo Porro in Torino nel 1510 in 4, insieme con altre orazioni, ed epistole del Cara, e lettere, e versi latini d'alcuni letterati, ed uomini grandi contemporanei suoi, al medesimo dirette, o scritte in sua lode. Eccone il titolo

VIRTUTI . ET AETERNITATI . CONSECRATUM Aureae , luculentiss.q. PETRI CARAE comitis., equitisq. splendidi, nec non iureconsulti graviss. ac oratoris clariss. ORATIONES. In quibus quicquid demonstrativo in genere uspiam reperiri votesi, tum rexoniita eruditione habes lector. Additis eiusdem ad claros viros sitnul et a doctis ad ipsum Caram, et de eo epistolis. Quin edam lam soluta oradone, quam Carmine ad Scipionem jìlium iureconsultum, paternae facundiae sectatorem, et assectatorem, pleraq. scitu, legiq. digna. Legat quaeso quisquis in nas inciderà non male collocaturus bonas horas. in 4. Termina il libro con le segeunti parole XAUS . DEO . Finis. In augusta Taurinorum. Ioannes Bremius costigabat P. P. Porrus chalcographus imprimebat Kal. novemb. M.D. XX. Alla pag. 51 si legge Oratio habita in principio studii per clarum oratorem D. P. Caram. In qua continentur scientiarum inventores, et laudes. Vi parla della filosofia dalla 58 alla 60, dove si fa strada a favellare della medicina creduta da lui figlia della cirugiaj e tornando a discorrerne alle pag. 66, e 67 si esprime come segue: Advenit iam medicina, quae summis laudibus itafertur: Anni ut primum incedat cum philosophia, sine qua non scientiam , sed ardii Regno tem cense0 medicinam, cuius finis sit curatio.^ materia vero adversa TMT^ valiti/do, et forma .medicamentum. Cum autem subiectum capa humanum corpus , illudq. sanare, praeservareq. intenda, huius rei cognitionem a philosopho tenet: quod si capiat aliunde, vel ex se propria habeat., nec a philosophia prodeat haec cognitio vanum est philosophiae prius, quam medicinae operam dare: quod qui non faciunt aliis potius, quam mihi si adversa valetudine premar medeantur. Est hoc pacto scientia plurimum excellens medicina, et fiumano cor pori necessaria , quam piget, pudetq. a summis regibus, clarissimisq. Viris inventam, in infimorum iam , et parabolanorum, ut eos lex appellata, manus, et exercitium incidisse, pace dictum sit eorum, qui florent in medicina., quales multi doctiss. et iidem nobilissimi viri, et in universa Italia, et in hoc conventu yestro inveniuntur. Ideo dictum ab me fuit, quod omnes iam aromatarii, et alii quivis ahiecti viri medendi vim et naturam profiteantur: unde improvisi, et intempesti obitus. Sed si iudicaretur a magistratibus quanta sit in curandis hominum morbis e,ruditio, et dottrina necessaria: rarus inveniretur numerus medicorum, et hi qui extarent dignitatibus maximis mandarentur,.

 

Cara Pietro di Giovanni nacque in San Germano Vercellese'presa la laurea in ambe leggi,tanto si distinse per la sua facondia e scienza che fu nominato Professore di leggi nella Universita' di Torino e fu tale la sua fama che,ad udire le sue lezioni,accorrevano studenti dalle varie contrade d'Italia, Francia,Germania,Inghilterra e Spagna. Ebbe in moglie una gentildonna della nobile famiglia Piossasco,da cui ebbe un figlio per nome Scipione Giovanni,che fu poi senatore. Verso il 1450 fu avvocato fiscale del Consiglio Cismontano e quindi,ai tempi della reggenza di Jolanda,madre di Filiberto e di CarIo 1°, Consigliere di Stato. Egli ebbe importanti legazioni presso la Repubblica di Venezia,presso i Pontefici Alessandro VI e Sisto IV e da questo ultimo fu creato conte del Sacro Palazzo;presso Luigi XII,Re di Francia,da cui fu decorato del titolo di suo senatore e Consigliere,e presso i Duchi di Milano ed il Duca Guglielmo di Monferrato. Scrisse molte opere,sempre in latino,e nell 'anno 1477,d'ordine sovrano,riordino' gli editti ducali della Dizione Savoia,come risulta dalla seguente opera : ."Decreta Sabaudiae ducalia,tam vetera quam nova,.ad justitiam et rempublicam gubernandam prope divina, suasu atque ope preclari juris utriusque doctoris domini Petri Carae ducalis consiliarii advocatique fiscalis Taurini impressa per insignem Ioannem Fabri Lingonensem anno 1447 in 4°". Mori' nel 1502.

 

Biblioteca di Storia e Cultura del Piemonte.

Esaminando nel dettaglio alcuni dei volumi più preziosi conservati in questa Istituzione è opportuno segnalare un incunabolo molto raro : gli statuti stampati dal Cara in edizione del 1477.

Il volume, sconosciuto ai principali cataloghi di antiquariato, merita l'attenzione dello studioso e del bibliofilo, perché si tratta di un esemplare molto particolare. Esso è tutto rubricato in rosso e le iniziali sono elegantemente disegnate e acquarellate a mano. Secondo l'esperta Ada Peyrot si tratta dell'"editio princeps" stampata nell'officina torinese di Giovanni Fabbri. Abbellita con rifinitura a mano dei capilettera, è la prima edizione del primo corpus di statuti stampato di uno stato nazionale. Dal punto di vista giuridico esso contiene le norme del buon governo o meglio le regole promulgate da Amedeo VIII nel 1430 con le aggiunte del Duca Filiberto e della madre reggente duchessa Jolanda di Savoia. Questi statuti vennero curati da Pietro Cara e pubblicati dal Fabbri sotto il titolo "Decreta sabaudiae ducalia tam vetera quam nova".