Chiappo Carlo - Storia di un socialista

Chiappo, Carlo Nato a S. Germano Vercellese il 6 aprile 1897, residente a Torino, meccanico, comunista

 

“Noto sin dal 1915 come professante apertamente idee socialiste antimilitariste, delle quali faceva attiva propaganda. In quello stesso anno fu nominato segretario del Fascio giovanile socialista ’Centro’, carica che copriva con zelo, svolgendo notevole attività. Nel settembre 1916 fu condannato dalla locale R. Pretura Urbana a trentatré giorni di arresto per aver capeggiata una dimostrazione antimilitarista. Nel mese di dicembre dello stesso anno prese parte al Congresso circondariale socialista tenutosi in Biella in rappresentanza della gioventù socialista piemontese. Successivamente subì procedimenti per rifiuto di obbedienza, per oltraggio alla forza pubblica e per renitenza alla leva. Per quest’ultimo reato però beneficiò dell’indulto. Nel 1921 si trasferì a Ciriè ove fu nominato segretario della Camera del lavoro e nel 1922 ricoprì tale carica anche nel Comune di Chivasso, spiegando notevole attività anche in favore del partito comunista, del quale aveva abbracciato le teorie. Verso la fine di quello stesso anno, temendo forse rappresaglie da parte dei fascisti, emigrò clandestinamente in Francia, e precisamente a Marsiglia, dove si teneva in stretto contatto con i più accesi comunisti, svolgendo attiva propaganda antinazionale. Colà, sotto l’appellativo di Marius tenne la carica del comitato intersindacale italiano, affiancandosi e collaborando con certo Bonnet segretario dei metallurgici e della Confederazione generale del lavoro di Marsiglia. Prese parte, inoltre [...] a tutte le manifestazioni politiche del partito comunista, svolgendo assidua ed intelligente attività sovversiva. Si recava quotidianamente alla Camera del lavoro e partecipava a tutte le riunioni della Commissione esecutiva francese. Il 27 maggio 1925 a Porto Saint Loupint du Rogne, prese la parola in un comizio svoltosi colà nella sala del municipio, in segno di solidarietà con i lavoratori del porto che erano in sciopero, incitando i lavoratori italiani ad organizzarsi per combattere ogni sorta di sfruttamento e di sopruso. Nel settembre 1926 venne segnalato come facente parte della commissione esecutiva comunista per [la regione] Bocche del Rodano. Il 22 ottobre 1926 fu fermato dal Commissariato di Ventimiglia [mentre tentava di entrare in Italia, sprovvisto di passaporto] e, perché trovato in possesso di documenti, opùscoli e stampe che rivelarono la sua appartenenza al partito comunista [e] fu tradotto [a Torino], Essendosi addimostrato individuo incorreggibile ed accanito antifascista, il 19 novembre 1926 venne proposto per l’assegnazione al confino di polizia e la locale Commissione Provinciale, con ordinanza del successivo giorno 22 ve lo assegnava per la durata di anni cinque”. Il 2 febbraio 1927 fu inviato alla colonia di Favignana (Tp) e il 29 luglio trasferito a quella di Ponza. Nel dicembre 1930, avendo aderito, con altri confinati ad una manifestazione di protesta in seguito alla riduzione del sussidio giornaliero, “fu ristretto nelle carceri di Portici a disposizione del Ministero” che, il 12 gennaio, lo fece ritradurre a Ponza. Il 16 settembre 1931 fu denunciato dal direttore della colonia alla Pretura per contravvenzione agli obblighi del confino. Il 23 aprile fu condannato a tre mesi di reclusione: interpose appello. Il 19 maggio 1932, avendo terminato il periodo di assegnazione al confino, fu rimpatriato a Torino. Venne vigilato e incluso nell’elenco delle persone pericolose da arrestare in determinate contingenze. Il 10 febbraio 1934 fu arrestato per avere in correità con altri211 riorganizzato il Partito comunista, formando gruppi o cellule di stabilimenti e di rioni ed estendendo il movimento riorganizzativo, sia curando la propaganda sovversiva che la raccolta e distribuzione dei sussidi del soccorso rosso. Pertanto il 28 febbraio fu denunciato al Tribunale speciale che, il 27 novembre (sentenza n. 54), lo condannò a tre anni di reclusione, di cui due condonati condizionalmente, all’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni e alla libertà vigilata. Nel febbraio 1935, per effetto di indulto fu dimesso dalle carceri di Roma. Il 19 ottobre 1937 fu nuovamente arrestato con altri212 e denunciato al Tribunale speciale per attività sovversiva. Gli inquirenti non furono in grado di provare l’attività da lui “esplicata nell’organizzazione comunista scoperta [...] tuttavia la sua partecipazione al movimento sovversivo venne accertata in quanto il suo nome figurava in un foglietto sequestrato all’emissario Gombia Attilio213 scritto di pugno di quest’ultimo. Era inoltre amico di Piretto Vittorio (sic)214 , pure denunciato al Tribunale speciale, il quale era in contatto diretto con l’emissario”. Il 3 febbraio 1938 (ordinanza n. 9) fu tuttavia assolto in istruttoria per insufficienza di prove, scarcerato e diffidato. Il 23 giugno 1941 il giudice di sorveglianza revocò il provvedimento di libertà vigilata.

a. Si veda, ad esempio, tra gli antifascisti originari della nostra provincia, il caso di Carlo Chiappo, arrestato il 22 ottobre 1926. di Vercelli furono Carlo Chiappo e Luigi Gilodi, emigrati a Torino e quindi giudicati da quella Commissione provinciale il 22 novembre 1926

Serie: Confinati Busta: 81, fascicolo: 5 Anno inizio e fine: 1926 - 1932 Cognome: Chiappo Nome: Carlo Luogo e data di nascita: San Germano Vercellese Vercelli (Italia) ) , 06/04/1897 Paternità: Primo Sesso: M Colore politico: Comunista

oro vita quotidiana. Dopo l’ondata repressiva del 1931 il lavoro clandestino dei comunisti torinesi riprese, pur in una situazione in cui il numero di iscritti era calato a circa 100 (secondo dati del giugno 1932), grazie all’opera di un gruppo di militanti più giovani sfuggiti alle retate ed al fatto che rientrarono in gioco quadri esperti scarcerati grazie all’amnistia detta del «Decennale», promulgata da Mussolini in occasione dell’anniversario della marcia su Roma. In particolare un ruolo centrale svolsero Dante Conte, Luigi Capriolo e Carlo Chiappo. Essi diedero vita ad un’organizzazione relativamente compartimentata ed articolata in due nuclei, il primo dei quali faceva capo a Conte e Capriolo, il secondo a Chiappo69. Luoghi d’incontro del primo erano solitamente locali pubblici; tra i principali la trattoria Quarto d’Asti, che stava al n. 52 di corso Francia; la bottiglieria Londra, al n. 29 di corso Moncalieri; il ristorante Primavera, al n. 122 di corso Regio Parco; il caffè Brosio in via Garibaldi angolo via San Francesco d’Assisi; il capolinea del tram n. 6; la Biblioteca comunale. Conte e Capriolo scelsero come sede del comitato direttivo una bottega di calzolaio che si trovava al n. 29 di via Caraglio; i suoi membri però preferivano incontrarsi tutti i martedì sera in piazza Bernini. Augusto Prioglio, fabbro di mestiere, era stato incaricato di tenere i contatti con il secondo nucleo; a tale scopo egli si incontrava settimanalmente con Carlo Chiappo in Barriera di Casale, all’inizio di corso Regina Margherita. Attraverso un lavoro capillare fu possibile riorganizzare il Soccorso rosso, affidato ad Anita Pescio Longo, maestra in pensione, e Caterina Alliprandi, impiegata, nonché cellule di fabbrica alla Fiat Lingotto, alla Fiat Aeronautica ed alla Riv, mentre cellule di strada esistevano in Borgo San Paolo ed in Barriera di Milano. Nonostante tutte le precauzioni tipiche della clandestinità, rafforzate dalle direttive che il Centro esterno del partito inviò ai militanti amnistiati per invitarli a tenere sempre conto nella loro attività politiche che la polizia non li avrebbe mai persi d’occhio, fin dai primi mesi del 1932 l’Ovra riuscì ad infiltrare alcuni suoi emissari nella rete cospirativa comunista, collocandoli per di più in posizioni non di secondo piano, visto che uno di loro era quasi riuscito a convincere i militanti clandestini ad organizzare un attentato dinamitardo in occasione del 1° maggio 1932. L’azione non ebbe poi luogo per il deciso intervento di un funzionario comunista inviato dalla centrale parigina, che comunicò il parere negativo della direzione del Pcd’I; l’Ovra decise allora di procedere all’arresto del gruppo di militanti70 in cui si era infiltrata la spia, la quale – divenuta a questo punto sospetta agli occhi di quelli rimasti in libertà – non poté più essere utilizzata. Altri suoi pari erano però all’opera e diedero modo ai funzionari della Questura torinese di «controllare senza originare allarmi per ben 15 mesi l’attività di noti comunisti, pratici delle norme cospirative della scuola di partito […], movimento che l’Ufficio politico della Questura e la sezione locale dell’Ovra71, di concerto, controllavano fin dal novembre del 1932», come recita una relazione del prefetto di Torino inviata al ministero degli Interni il 12 gennaio 1935 . I «noti comunisti» di cui si parlava erano proprio Capriolo, Conte, Chiappo ed i loro compagni, caduti nelle maglie della repressione alla metà di febbraio 1934. Entrambi i gruppi attivi vennero arrestati nel corso di due distinte operazioni: la prima, condotta dall’Ovra portò all’arresto di 16 persone, tra cui gli stessi Conte e Capriolo; la seconda, avviata dalla Questura, di altre 9, tra cui Chiappo . Tra loro, come risulta dagli interrogatori, accanto a militanti sperimentati c’era anche un gruppo che si definiva «cristiano comunista» e che era composto da operai del settore meccanico.