ENZO  GAZZONE  

(1894-1970)  

 PITTORE

 

Nasce a San Germano Vercellese il 23 marzo 1894. Suo padre, medico condotto del paese, è un appassionato di pittura.

Il padre trasmise ad Enzo la sua naturale predisposizione al disegno. È corretto affermare che fu il suo primo maestro, capace di trasmettere al figlio anche un infinito amore per il paesaggio vercellese. Certamente, in seguito, Enzo seguì un suo autonomo percorso di studi, compresa l'Accademia Albertina di Torino, ma l'aria respirata in famiglia fu la molla che fece scattare la passione per il disegno. L'arte, del resto, fu anche un'ottima terapia per restituire la gioia di vivere ad un ragazzo che in tenera età conobbe la malattia, entrando e uscendo dagli ospedali, a causa di un incidente .Dal 1911 al 1917 frequenta l’Accademia Albertina di Torino, allievo di Andrea Marchisio e, successivamente, di Giacomo Grosso, e vi si diploma. Nel 1914 ottiene il 1° Premio alla Scuola di Figura con annessa borsa di studio alla Scuola di Disegno del Nudo di Venezia. Dal 1917 è abilitato all’insegnamento del disegno nelle Scuole Tecniche e Normali. Esordisce nel maggio-giugno 1922, partecipando all’Esposizione d’arte vercellese moderna organizzata dall’Unione Costituzionale di Vercelli, con i migliori artisti vercellesi dell’epoca. Enzo Gazzone è presente con una vera e propria personale: ben cinquanta dipinti, di cui quattro sulla risaia. Negli anni 1924 - 1926 è autore della copertina di Vercelli Nobilissima, rivista mensile illustrata edita dalla tipografia Gallardi e Ugo.

Nel 1929 partecipa con l’incisione intitolata Decadenza alla Mostra internazionale di Melbourne e vi ottiene una menzione onorevole. L’anno successivo, il 1930, esegue il ritratto dell’Arcivescovo di Vercelli, mons. Gamberoni. Nel 1932 ritrae Giuseppe Barino e l’avvocato Casimiro Sciolla, posti nella quadreria dei benefattori dell’Ospedale maggiore S.Andrea di Vercelli, a cui si aggiungerà, nel 1934, anche l’avv. Antonio Borgogna. Nel dicembre 1933 partecipa alla Mostra degli artisti residenti a Vercelli, allestita al palazzo del Littorio.

A marzo del 1939 vince ex-aequo con Nicola Edel, il concorso per un cartello pubblicitario bandito dal Comune di Vercelli per la Mostra di storia, di arte e di economia Vercelli e la sua provincia dalla Romanità al Fascismo. Nel luglio partecipa al premio San Remo di pittura e a ottobre un suo dipinto della risaia, intitolato Lo spianone, incluso nella 1° Esposizione del Sindacato Belle Arti di Vercelli, è acquistato dal Duce. A novembre il dipinto La cripta dei caduti fascisti ottiene il 1° premio di lire 3.500 al concorso del Sindacato Provinciale. Nel 1940 è nominato direttore dell’Istituto di Belle Arti di Vercelli, carica che ricoprirà per oltre vent’anni. Nel dicembre dello stesso anno ordina una mostra a Vercelli, a Palazzo Centori, dove espone insieme a Francesco Giuseppe Rinone. Nel maggio del 1944 tiene una personale alla galleria Dante di Milano e vi espone 63 opere che risultano tutte vendute.

Nel 1947 tiene un corso annuale di Figura all’Istituto di Belle Arti, che si ripeterà poi negli anni seguenti. Tra il 10 e il 18 febbraio 1951 partecipa al 1° raduno dei pittori a Mera (Valsesia), durante il quale dipinge vari olii che testimoniano dell’eccezionale nevicata di oltre tre metri, verificatasi in quei giorni. Nello stesso anno fonda e presiede l’Unione filatelica vercellese, poi divenuta Associazione filatelica numismatica vercellese E. Gazzone in sua memoria. Nel dicembre 1952 ordina una personale a Vercelli, a Palazzo Centori. Nel 1953 esegue il ritratto della signora Maria Bassignana e nel 1956 ritrae il senatore avvocato Mario Abbiate; entrambe le tele sono poste nella quadreria dei benefattori dell’Ospedale Maggiore S.Andrea di Vercelli.

Nel 1956 entra a far parte del Rotary International Club di Vercelli, condividendone lo spirito di servizio. Nel maggio del 1963 disegna la Testata dell’Albo eroico della Provincia di Vercelli - Istituto del Nastro Azzurro. Dal 26 maggio al 23 giugno partecipa alla Mostra nazionale dell’incisione artistica a Padova. Illustra inoltre il libro di Carlo Giorchino Augusto Franzoj presentato ai giovani, edito dalla tipografia La Sesia.

Nel 1964 è nominato Cavaliere dell’Ordine “al merito della Repubblica Italiana” e nel 1967 esegue il ritratto dell’Arcivescovo mons. Imberti, tuttora in Curia.

Muore l’11 novembre 1970 nella sua casa di Vercelli il giorno di S.Martino. Due giorni dopo, La Sesia, bisettimanale di Vercelli e provincia, pubblica un epicedio scritto dal pittore Enrico Villani, che ne era stato allievo (In cerca di quel suo segreto intuito un giorno, per ritrovarlo). Vi è ricordata l’autodefinizione di Grosso (“Io sono un pittore, non un artista”), che Gazzone aveva fatta sua.

Tra gli avi di Enzo Gazzone si annoverano personaggi che sono parte della storia del Piemonte e del Regno d'Italia, un Giuseppe Gazzone, sottotenente del 68° Fanteria cadde vittima dei moti popolari in Ardore, in Calabria, ai tempi dell'epidemia di colera. Una triste storia riportata nella "Vita militare" del De Amicis. E Vincenzo Fulvio Gazzone fu Presidente di Corte d'Appello. Un magistrato e un vero e proprio patriarca, con ben 12 figli. Il primo dei quali è proprio il padre di Enzo, medico condotto di San Germano. Il titolo passò ad altro ramo della famiglia a causa del dott. Giovanni Battista, un avo medico, professione allora non considerata nobiliare, ma, in seguito, a causa di mancanza di discendenti, tornò ad Enzo. Ma se poco importa ormai un titolo, rimane una autentica aura di vera nobiltà che fu certo un solido retroterra culturale. Luigi, oltre che medico, fu pittore instancabile, dotato di un disegno spontaneo, espressivo, ben testimoniato, oltre che da una vasta produzione pittorica, in specie paesaggistica, da un prezioso album in cui sono raccolti schizzi della campagna di Serbia, nella prima guerra mondiale, che abbiamo potuto sfogliare, rimanendo allibiti per la capacità di trasmettere in pieno la drammaticità insita nella guerra, trascendendo il dato storico.

San Germano Vercellese nei dipinti e disegni di Enzo Gazzone

 

Il profilo artistico di Enzo Gazzone , tratta dal commento di una mostra presso la Famija Varsleisa 

 

Enzo Gazzone si formò all’Accademia Albertina di Torino, dove concluse gli studi nel 1917. Andrea Marchisio e Giacomo Grosso furono suoi maestri. Per tutto il tempo della sua attività professionale, durata cinquant’anni, fino a ridosso della sua morte, avvenuta nel 1970, fu fedele ad un suo personale linguaggio pacatamente realistico, sicuramente mediato dal magistero del Grosso del quale, con mirabile modestia, condivise anche il programma di lavoro, sintetizzato nella nota frase (dal Grosso presumibilmente indirizzata a Felice Casorati) «Mi i sôn machn pitôr. Chiel,... chiel a l’è n’artista». Ma, come sovente accade, proprio chi umilmente, quasi con stile monacale, impiega la propria abilità di saper facere, unitamente all’abilità di manifestare, senza avvedersene, consegue ciò che i Greci indicavano con il termine téchne, ossia arte.

Il saper fare di Gazzone e la sua espressività lirica sono agevolmente verificabili nelle opere che lo spazio espositivo della Famija Varsleisa ha consentito di collocare.

Colori caldi, solari, descrittori di un’atmosfera intesa fisicamente, tra densità e rarefazione, si rilevano in La costa dell’Esterel e in Autunno in Valle d’Aosta. Nel primo dipinto, la veduta è costruita con una linea dell’orizzonte arditamente alta: l’estensione della superficie marina, realizzata nei primi piani con virtuosistiche trasparenze, occupa i nove decimi dell’altezza del dipinto. Nel secondo quadro è piacevole indugiare su quelle cortine d’alberi dorati, che pur nella bidimensionalità della tavola, rivelano una reale profondità di sottobosco. Risaia può essere assunta come opera emblematica di quel “poema dipinto” (la definizione è di Angelo Gilardino, forse, e non a caso, in perfetta sintonia con Orazio: Ut pictura poësis erit) relativo alla terra vercellese che molto impegnò Gazzone per narrarne, iconicamente, la storia, fatta, un tempo, di lavoro faticoso, paziente, costante, secolare: una storia che è oggi memoria di uomini e, soprattutto donne, caparbiamente tenaci.

Nei ritratti, i caratteri fisiognomici sono osservati e restituiti con acutezza, tanto da farne immagini che stanno nel tempo. Volutamente mi soffermo sui ritratti di una bimba e di un ragazzo prossimo all’adolescenza, poiché la ritrattistica rivolta in special modo ai bambini è la più ardua per un pittore. Sono i volti di Teresa Lorio, dallo sguardo dolcemente fiducioso e incuriosito, al cospetto di chi la sta insistentemente osservando per ritrarla, e il ritratto di Pier Benedetto Francese la cui soluzione pittorica dei capelli è più che sufficiente per confermare l’abilità dell’artista nel saper tradurre quei valori tattili tanto cari a Bernard Berenson.

Sono molti i ritratti di Gazzone, oggi gelosamente custoditi dai familiari o dagli eredi, di personaggi illustri vissuti a Vercelli: ne ricordo uno, eseguito nel 1930, quello dell’arcivescovo Giovanni Gamberoni: un monumento! La figura è ambientata nella cosiddetta sala del trono in episcopio: è posta in piedi, a grandezza naturale, con posa ruotata di tre quarti, ma con il viso rivolto verso l’osservatore. Austera solennità e autorevolezza si compendiano. Cromaticamente è un cangiare continuo di colori rossi, violacei e di porpora.

Gazzone amò molto la tecnica dell’acquerello, lasciandoci parecchi angoli di una Vercelli ormai scomparsa a seguito di demolizioni non sempre giustificate. Oggi, questi scorci sono documenti preziosi di Vercelli com’era. Sono acquerelli eseguiti con perizia tecnica non comune, anzi certe trasparenze e contrasti sono ottenuti con espedienti esclusivamente personali e ignoti ad altri artisti. Siamo di fronte ad un esaltante realismo, specie per le vedute dei castelli d’Oltralpe, da accostare alla cultura rinascimentale nordica. Credo di scorgere, negli acquerelli di Gazzone, il compiacimento di essere padroni di un disegno pulitissimo sul quale stendere le purezze cromatiche che la tecnica esige, giungendo alla cristallizzazione di composizioni simili a quelle ottenute da Albrecht Dürer. Padronanza del disegno, ho appena detto. Certo, Gazzone la possedeva per naturale predisposizione, la stessa posseduta da suo padre, medico in quel di San Germano, ottimo disegnatore e degnissimo pittore. Sia per il dottor Luigi Gazzone, e più ancora per il figlio Enzo, l’esercizio del disegno era quotidiano secondo il mitizzato motto: Nulla dies sine linea.

L’abitudine al disegno e l’abilità di saper sintetizzare forme e volumi favorì l’ingresso dell’artista nel mondo della calcografia, alla quale s’iniziò da autodidatta in giovanissima età. Le stampe che più gli furono congeniali, forse per la morbidezza grafica che si ottiene, furono quelle prodotte dalle lastre incise ad acquaforte. Tutte le tirature, essendo in numero limitato, sono assai preziose.

L’artista, oltre a soggetti riferibili ad ambienti concreti, se pur permeati e trasformati da seducenti liricità, ha creato soggetti non esenti, credo, da valori simbolistici: mi riferisco a Decadenza che, nel 1929, riscosse notevole successo alla Mostra internazionale di Melbourne, in Australia. Vi è rappresentato, in stagione invernale, un cancello contenuto tra due imponenti pilastri; al di là di esso un vecchio giardino ed un antico palazzo dal quale emerge una torre, segno di una potestà civile e signorile ormai perduta, lontana, assorbita dal tempo che sovente annulla il ricordo delle cose e degli uomini e che in realtà altro non è che una veduta del cortile dello studio di Gazzone. Oppure mi riferisco a ...e viene la primavera o, e ancor più, a L’argine, ultima sua opera calcografica, datata 1969, quasi premonitrice del concludersi di una meravigliosa avventura terrena: l’argine, in quest’immagine, sembra assumere il valore di elemento divisorio tra la concretezza vincolante di un campo e la mutabile purezza dell’acqua, alla ricerca, col suo scorrere, di lontani e più ampi orizzonti. Si cimentò pure in acqueforti a più colori: ad esempio Il vient de loin, un poetico omaggio all’ardimento aviatorio, messo in evidenza dall’estrema piccolezza di un velivolo, immerso nella vastità del cielo.

Gazzone ebbe un’attività che superò i confini della tradizionale produzione artistica, tale da rendere augurabile, in un prossimo futuro, la compilazione di un completo catalogo di quanto produsse per avere, non solo una testimonianza della mole di lavoro di un artista impegnato su più versanti, ma anche una memoria di quanto fa parte della storia di Vercelli, della sua terra e della sua gente.

Oppure uno spazio museale come emerge, tra queste stesse pagine nell’intervista a Carla Gazzone puntualmente condotta da Gian Piero Prassi, dove il lettore scoprirà molti aspetti della personalità umana dell’artista. Al riguardo è sufficiente pensare alla collezione di fotografie scattate da questo singolare maestro, alcune delle quali sono interpretate in modo artisticamente raffinato, come un controluce su Via Cavour o i cippi innevati del sagrato antistante la chiesa cattedrale. Veri documenti sono poi le riprese dall’aereo dei cantieri sorti per un “rinnovamento” edilizio che vide l’abbattimento del quartiere circoscritto alla chiesa del Carmine, anch’essa andata distrutta e il comparire di nuovi edifici in stile piacentiniano, intorno alla futura Piazza Zumaglini; ancora, le foto zenitali su Piazza Roma o la sfilata, nell’allora Corso Carlo Alberto, dei soldati che tornavano dalle conquiste in terra d’Africa per un’Italia imperiale.

E che dire del lavoro di illustratore e di grafico? Lo spazio a disposizione mi obbliga ad essere conciso, d’altro canto sono stato costretto ad esserlo finora.

Si devono a Gazzone le illustrazioni per il libro di fiabe scritto da Eugenio Treves Le pecore incantate e con Treves collabora per la rivista da lui diretta Vercelli nobilissima, della quale disegna la copertina e crea illustrazioni con piacevoli invenzioni vignettistiche-caricaturali. Altre illustrazioni, realizzate a carboncino con rapida tecnica, sono utilizzate per il libro di Carlo Giorchino Augusto Franzoj presentato ai giovani, edito nel 1963.

Ulteriore e singolare impegno è riservato alle illustrazioni anatomiche e di interventi chirurgici, inserite negli atti di convegni scientifici: immagini volute da personaggi della medicina vercellese i cui nomi sono ben noti: Andreoli, Pagani, Petterino Patriarca.

Moltissimi i progetti e i bozzetti per manifesti e pieghevoli turistici del Vercellese, Biellese e Valsesia, oppure per gare sportive, manifestazioni, eventi, ex-libris, logotìpi...

A Gazzone si devono pure l’elaborazione grafica e i calchi esecutivi di medaglie commemorative e di oggetti divenuti simboli della città di Vercelli: il Galletto, che svetta sulla torre di sinistra della basilica di Sant’Andrea, e il rosone di facciata della stessa basilica.

È facile osservare come Gazzone risponda all’appello di committenze prestigiose, quali possono essere i ritratti, e nello stesso tempo non disdegni richieste apparentemente di tono minore, alla stessa maniera dei grandi maestri di un passato più o meno remoto.

Personaggi ai vertici dell’arte figurativa passavano, con la stessa dedizione e lo stesso impegno, dal progetto di una cattedrale a quello di un reliquiario, da un ciclo di affreschi alla decorazione di un cassone da sposa o al disegno semplice ed essenziale di una tarsia marmorea, dal progetto di una dimora principesca a quello di una scenografia teatrale o di un modesto costume di scena.

E non è da dimenticare l’attività di magistero di Gazzone: fu direttore dell’Istituto di Belle Arti vercellese per vent’anni; insegnante di pittura nello stesso Istituto, di disegno all’Ospizio dei poveri e di storia dell’arte al liceo classico e al liceo scientifico.

 

 

Nel mese di Settembre 2000 , l'Amministrazione Comunale intitola a lui ed al padre Luigi una via del paese.

Nel mese di Ottobre del 2000 a San Germano Vercellese , in onore dell'illustre sangermanese viene ospitata la mostra di pittura "Rapsodia della Risaia"