L' Infeudazione di San Germano

Juan de Mendoza

Marchesi di San Germano (1598) Juan de Mendoza y Velasco, Marchese de la Hinojosa (11 febbraio 1612), governatore dello stato di Milano (30 luglio 1612), investito da Carlo Emanuele I. Era figlio cadetto di Antonio Gomez Manrique de Mendoza y Sandoval, conte di Castro, e fratello di Gomez Manrique de Mendoza, conte di Castrojeriz.

Partito, d'azzurro, a dieci panelas d'argento (Castrojeriz modificato) e di rosso, al castello di tre torri, sormontato da un'aquila, il tutto d'oro (Alvarado), sul tutto di Mendoza antico e d'azzurro, a dieci panelas d'argento

Carlo Emanuele I

Duca di Savoia

 

PREMESSE

Vennero per il Piemonte tempi calamitosi . La dominazione francese e le guerre combattutevi tra Francesi e Spagnuoli lo avevano precipitato nella più misera condizione . Nel 1559 , colla pace di Cateuau-Cambresis , Emanuele Filiberto , il vincitore di San Quintino , ricuperava il suo Ducato e tosto dava opera a rialzarlo da quella prostrazione materiale. Le finanze però non furono così presto riordinate e la mancanza del denaro facendosi vivamente sentire , gli avvocati fiscali cercavano di cavillare sull'interpretazione delle concessioni fatte ai Comuni che non potevano salvarsi da noie e pesi maggiori se non col dare al Governo una somma più o meno rilevante. E' perciò che per il borgo di San Germano la questione del mero e misto imperio torna in campo nel 1567 : dimenticata la dichiarazione fatta in proposito dalla Duchessa Jolanda , sorge una controversia per lo stesso fatto tra l'avvocato fiscale e la Comunità che fù obbligata a presentare nuovamente e titoli e documenti per ottenere che il Duca profferisse l'anno dopo un'altra sentenza di confermazione dei privilegi ecc.. specificando in essa i diritti del Comune per ciò che riguardava i motivi della controversia . Successo al padre Carlo Emanuele I , questi , giovane e ambizioso di ingrandire i propri dominii , approfittò della posizione dei suoi Stati tra Francia e possedimenti spagnuoli in Lombardia per prendere parte attiva alle contese lunghe e vive che incorsero fra le due grandi nazioni. La necessità pertanto di far denaro è ora più forte che mai ; e tosto vediamo il Duca , nel 1583 confermare ai Sangermanesi tutti i loro privilegi e fare nuove concessioni e rimettere loro le contravvenzioni e le pene , in cui possano essere incorsi nell'amministrazione dei beni pubblici , della giustizia , ecc.. per compensare la somma che gli vien data di cinquecento scudi d'oro.

Fin qui , per altro , aveva potuto il nostro Comune mantenersi terra immediata dello Stato di Savoia , dipendente direttamente dal Principe . E' vero che i patti , riconosciuti e sanciti dal Conte Verde nel 1377 all'atto della dedizione , e confermati , come s'è visto dai successori , dovevano affidarlo che nessun cambiamento sarebbe avvenuto nelle relazioni col Governo di Torino ; ma altri esempi erano li a provare quanto fosse facile il caso contrario ; e perciò s'era adoperato sempre , in tutti i modi , di tener lontana da se la condizione di terra mediata che avrebbe modificato , a suo danno , quei diritti di cui fin'allora , pur con qualche contrasto , aveva goduto. Ma ecco che viene il momento anche per esso , e allora gli sforzi si raddoppiano : la difesa che farà dei suoi privilegi , sarà strenua e insistente : dovrà cedere infine , ma cercherà di attenuarne per quanto è possibile le conseguenze.

IL NUOVO MARCHESE

Il giorno 9 ottobre del 1598 , con patenti ducali , il luogo di San Germano veniva infeudato a Don Giovanni di Mendozza con titolo di Marchesato. Chi era questo Mendozza ? E quale poteva essere la causa dell'infeudazione ? .

Don Giovanni Hurtado de Mendozza , al quale era concesso in feudo il luogo di S.Germano , apparteneva a una delle più nobili famiglie della Spagna . Settimo figlio di Antonio Gomez , conte di Castrageriz , e di Isabella di Velasco , era stato educato in mezzo alle armi e , venuto con gli eserciti di Filippo III in Italia , aveva incominciato a far parlare di sè in una delle numerose guerre che Carlo Emanuele I ebbe a sostenere durante il suo lungo e travagliato regno . Il suo nome anzi va unito ad un episodio interessante della guerra contro i Francesi per la questione del Marchesato di Saluzzo : con la perdita e il riaquisto della Moriana . Nel 1597 mentre erano aperte le ostilità tra il Piemonte e la Francia , il duca di Lesdiguieres invase la Moriana ( allora facente parte del Ducato di Savoia ). Non fu lento Carlo Emanuele I a muovergli contro con l'esercito , per dar animo ai popoli spaventati e impedire le mosse del nemico ; ma , non avendo le sue forze riunite , dovette attendere a Conflans che ivi venissero gli aiuti che gli erano stati promessi : erano fra questi duemila spagnuoli inviati dal Conte di Fuentes , Governatore dello Stato di Milano , e li comandava Don Giovanni di Mendozza . Intanto i Francesi avevano posto assedio al luogo più importante della regione , alla chiave della Moriana , il forte della Carboniera : un forte posto su di un monte , bagnato ai piedi dalle acque dell'Arc , cui sovrastava una torre antichissima colla quale la tradizione popolare collegava l'origine favolosa de' propri Signori . Maggiormente perciò premeva al Principe che non venisse in potere al nemico , e a questo intento furono volte tutte le premure ; ma invano : il Lesdiguieres se ne impadroniva il 24 luglio . La recuperazione del forte e , con esso , della Moriana , fu dall'ora il primo pensiero del Duca ; e l'anno seguente , nel mese di febbraio , essendo le nevi altissime e il freddo intenso , partiva da Chambery l'esercito ducale , e dopo mille stenti per vie difficili e per sentieri pericolosi , pei quali a pena potevano essere trascinate le artiglierie , giungeva davanti al forte della Carboniera . Presa subito l'offensiva , Carlo Emanuele , accompagnato da Don Giovanni di Mendozza e da altri capitani , dispose ogni cosa per l'assalto che fu terribile e obbligò il presidio alla resa. In questo mentre scendeva con nuove forze , minacciando , il Signore di Cequi ; ma attirato dall'avversario in luogo svantaggioso e assalito a un tempo da più parti , fu costretto a darsi prigione con tutti i suoi.

Il valoroso diportamento di Don Giovanni di Mendozza spinse il Duca di Savoia a dare in feudo col titolo di Marchesato il borgo di San Germano al capitano delle milizie spagnuole venute in suo aiuto. Forse potè influire sulla cosa il desiderio rendersi benevolo , sotto l'aspetto di premiarne la nobile condotta , che poteva riuscirgli utile , per le molte aderenze , alla Corte di Madrid : e senza dubbio v'ebbe parte l'animo generoso del Principe che aveva stretto amicizia col giovane ed elegante signor di Mendozza : amicizia che durò fin che glia avvenimenti politici , portando questo a capo dello Stato di Milano , lo posero in condizione di dover scegliere tra l'adempimento del proprio dovere e una relazione d'affetto stretta sul campo di battaglia. Ma qualunque sia stata la causa della concessione del Mrchesato al Mendozza , questa era in realtà un venir meno a quei patti che gli avi di Carlo Emanuele I ed egli stesso avevano giurato agli uomini e alla comunità di San Germano ; nè si saprebbe spiegare perchè la scelta cadesse proprio sul nostro borgo . Potremmo per avventura credere che non fosse del tutto estraneo al fatto il desiderio , o espresso o supposto , del premiato . Do Giovanni era venuto con duemila spagnuoli da Milano e la via da lui percorsa passava per l'appunto presso il borgo e il castello di San Germano , il cui nome così spesso ripetuto nelle storie del passato per i numerosi assedi sostenuti , e le cui mura molte volte tentate dai migliori soldati di Spagna e Francia , avranno richiamata l'attenzione dell'animoso Capitano . La nostra però può non essere altro che un ipotesi ; dei documenti che abbiamo dinanzi , l'uno ci parla soltanto di un " donativo et concessione " l'altro aggiunge qualcosa dicendo come il Duca di Savoia " nelle passate occasioni di guerra .. avesse ricevuti segnalati servitii dall'Ill. Sig. Giovanni di Mendozza , Cavagliere Spagnolo , quali desiderasse riconoscere , e perciò avesse infeudato ad esso sig. D. Giovanni in titolo di Marchesato il luogo ecc... " . Non ci sarebbe così spiegato che il movente della concessione , benchè , a nostro parere , non debba essere stato il solo ; della ragione della scelta non troviamo parola in nessun documento.

LE TRATTATIVE DEI SANGERMANESI

Le lettere di patente nelle quali si contiene l'istituzione del Marchesato di San Germano e la concessione a Don Giovanni di Mendozza , portano la data del 9 ottobre 1598 ; ma solo un anno e mezzo dopo avviene la missione in possesso . Non bisogna per altro credere che non ne fosse giunta subito la notizia alle orecchie dei Sangermanesi . Sfortunatamente non abbiamo potuto trovare il " Registro degli Ordinati " degli anni 1599 e 1600 che ci avrebbero dato modo di vedere come quella era stata accolta e quali provvedimenti s'erano decisi da chi stava a capo del Comune ; un solo scritto ci è rimasto , che però basta da solo a provarci che non si lasciò intentato alcun mezzo per istornare dal proprio capo la temuta infeudazione ; è il memoriale sporto al Duca con le ragioni per le quali non poteva il Luogo essere infeudato nè alienato ; e , in previsione di una risposta sfavorevole , lo scopo di esso era soprattutto di procurare che l'infeudazione fosse ristretta e dichiarate le ragioni di giurisdizione e i redditi criminali e civili alla Comunità. Da esso apprendiamo adunque che appena fu intimata dalla Camera ducale l'investitura del Luogo con domanda di interinazione , il Comune non mancò di protestare allegando i diritti suoi e il Governo pensò di mandare sul posto un senatore che , fatto adunare il consiglio , vi fosse una missiva del Duca per la quale dichiarava gradire che la Comunità si quietasse e desiderare che la cosa venisse da loro facilitata . Il consiglio per contrario delibera di replicare e , da gente assennata , affida l'incarico a due persone autorevoli dando loro ampia istruzione del come debbano condursi per raggiungere lo scopo : sono queste Camillo Spada e Gio Giacomo Mella che avevano occupato e occupavano le principali carche del Comune ; e il memoriale non è altro che una parte della relazione che essi fanno del modo con cui hanno adempiuto il loro mandato , di ritorno da Torino .

I due Sangermanesi si presentarono direttamente al Duca e discorsero a lungo con lui. Gli ricordarono anzitutto che il luogo di S.Germano , liberato dal dominio del vescovo Fieschi , si era spontaneamente sottoposto alla Casa di Savoia col patto espresso di non essere alienato nè rimesso ad altro Signore ; che in tale condizione aveva sopportato l'assedio di Galeazzo Maria Sforza e con proprie spese e forze ributtato . Poi , che nelle guerre passate s'era sempre mantenuto imperiale ed era stato scudo alla città di Vercelli , mentre ogni giorno si scaramucciava col nemico che era in Santhià : le stragi e gli stenti che aveva subiti erano notori ; che quel Luogo aveva prodotto tali spiriti dei quali s'erano compiaciuti e serviti i predecessori del Duca e il Duca stesso , giungendo uno di essi , Pietro Cara , fino al grado di Gran Cancelliere ; che perciò riusciva loro doloroso il sentire che il Principe voleva metterli sotto dominio mediato , e lo supplicavano di permettere che presentassero le loro ragioni dinanzi alla Camera ducale , inibendo intanto che fossero molestati sotto pretesto dell'investitura. Il Duca fece intendere ampiamente e replicatamente che voleva che l'investitura avesse effetto a ogni modo , e allora essi gli scrissero che sentita e intesa la sua mente precisa , cedevano alla volontà sua ; ma perchè in nessun tempo la loro riverenza e obbedienza non fosse ascritta a facilità e poca devozione , nè venisse data altra sinistra interpretazione , protestavano in nome della Comunità , che dopo questo assenso e consentimento lo facevano e prestavano sforzati dal comandamento del Duca tante volte ripetuto e senza pregiudizio di qualunque ragione spettante o che potesse spettare ai suoi successori. Era una protesta rispettosa e seria ad un tempo , che mostrava come essi , sempre scrupolosi nell'adempimento dei propri doveri , avrebbe voluto anche che si riconoscessero i loro diritti .

 In tempi in cui l'autorità dei Signori diretti non era che un nome vano , mentre avevano veduto i Luoghi vicini volgersi ad altra parte per risparmiare a sè rappresaglie e saccheggi , essi , i Sangermanesi , avevano conservata inalterata la loro fede non badando a sacrifizi , sostenendo quell'autorità stessa che , lontana e indebolita , era misconosciuta dai più , e che non voleva tener conto di tutto un passato che testimoniava della loro devozionee del loro attaccamento . Forse , vedendo intorno a sè luoghi infeudati a qualche signore , era rimasta la speranza che si potesse , per tutti questi motivi , aver per loro un riguardo : la risposta del Duca doveva togliere ogni illusione : non si trattava ora che di cavarsi fuori dalle circostanze difficili in cui si trovavano col minor danno possibile . Era questa la seconda parte dell'istruzione data ai due agenti ed essi si mettono senza indugio all'opera e supplicano il Duca di voler accordare in forza di contratto irrevocabile i Capitoli che prendiamo a riassumere perchè si veda quale importanza abbiano per la storia del nostro Borgo . Sono diciannove e nel Memoriale già ricordato si presentano accanto a ciascuno la risposta di Carlo Emanuele I . Nel primo si chiede che l'investitura sia ristretta alla persona sola di Don Giovanni di Mendozza , in modo che dopo di lui ritornino nello stato primiero ; Il Duca dichiara che mancando la linea del Marchese , li riterrà per immediati sudditi suoi nè più li infeuderà ad altri. Il secondo tratta del giuramento di fedeltà che non vogliono fatto al Mendozza ma al Principe per mezzo di del nuovo Signore ; la cosa viene rimessa alla decisione della Camera. Col terzo e quarto il Marchese non deve pretendere nè avere più di quanto spettava al Duca ; e alla giusta domanda questi annuisce. Avendo la Comunità un archivio di cui era gelosa perchè comprendeva tutte le sue scritture , per evitare che queste si facciano scomparire , prudentemente domanda nel quinto che Carlo Emanuele I lo prenda sotto sua protezione e salvaguardia ; e in ciò è appagata. Le occasioni per ottenere indulti , grazie e remissioni di pene , multe e contavvenzioni , di abusi di giurisdizione , ecc , non si lasciavano mai sfuggire . Questa era buona , ed ecco che il Comune ne fa richiesta nel sesto capitolo ; ma il Duca non concede che in parte , intendendo che si venga alla resa dei conti. I capitoli che tengon dietro ci presentano altrettante domande di concessioni e privilegi che hanno bisogno di un pò di spiegazione. Il luogo di San Germano faceva parte del Capitanato di Santhià , e tale condizione non era certamente troppo vantaggiosa .

Far parte del Capitanato voleva dire per il nostro borgo concorrere a tutte le spese a cui questo era sottoposto a contribuire allo stipendio del Capitano , oltre ai pagamenti a cui in particolare doveva provvedere , senza contare il disturbo e la noia di doversi recare alla terra vicina , ad ogni chiamata del Capitano o del Chiavaro , per il disbrigo degli affari , e i maggiori oneri che importavano le frequenti trasferte . Vivissimo era perciò era il desiderio di distaccarsene e pare che altre volte ciò avessero ottenuto . Anche ora insistono sulla domanda di separazione e ottengono ugualmente la concessione ducale : vedremo in seguito quale applicazione si desse a questo settimo capitolo. Così pure , perchè uno dei gravami più odiosi pei poveri borghi era quello di dare alloggio e provvedere viveri per le milizie di passaggio , essi si adoperavano per tenerle lontane dal loro luogo. Col capitolo ottavo si chiede che non si possa far ammasso nè soggiorno di soldati , e ove occorra far tappa , il Comune non sia tenuto che di provvedere le dovute munizioni e i soldati non abbiano a pretendere altro fuori del solo alloggio ; e col nono di non essere obbligati a nessuna contribuzione nè ad alcun concorso con altri luoghi. Ma era troppo comodo per il governo il sistema degli alloggiamenti e munizioni addossate alle Comunità perchè si facessero delle concessioni : che si risponde pertanto ? che saranno sgravati più che si potrà : ciò voleva dire che non se ne sarebbe fatto nulla. Al decimo capitolo , dice la risposta a lato che già era stato provvisto : si trattava di una contribuzione a cui erano stati chiamati in favore delle terre di Carema , Cesnola , e Settimo Vittone ; si vedrà poi che non si era per niente provveduto. Al borgo di San Germano era unito il castello , piuttosto forte , ove gli abitanti tenevano i loro grani , perchè fossero meglio difesi . Essi chiedono ed ottengono di introdurvi anche i grani di Crova , Vancino e altri luoghi che prima erano costretti a mandarli a Vercelli . E un altra concessione vien loro fatta . Durante le guerre passate molti beni comunali erano stati alienati , contro il termine delle leggi e dei decreti : il Duca permette di riaverli mediante la restituzione del prezzo. I capitoli decimo terzo e decimo quarto si riferiscono alle visite un pò frequenti di commissari esattori , di visitatori di speciari ecc.. , che pesavano troppo sulle finanze comunali . Le domande che fanno si riducono a poca cosa : siano avvisati almeno dieci giorni prima della venuta dei commissari , per provvedere , e quanto agli altri , si conceda che la visita si faccia dal medico del luogo . Alla prima richiesta si risponde che si farà come altrove ; la seconda si concede , fatta eccezione per la visita del protomedico. Gli zingari non si fermino in San Germano e suo territorio , anche se abbiano privilegio generale per gli stati ducali ; e le monete forestiere si possano spendere e ricevere , purchè non siano false : questo il contenuto dei due capitoli successivi ; e Carlo Emanuele I a compiacerli nella prima domanda e a rimandarli , per l'altra , all'osservanza dell'ordine ultimamente pubblicato. Gli abitanti di San Germano non siano molestati nè civilmente nè criminalmente salvo avanti loro giudici ordinari per la prima cognizione e per ciò non si facciano da altri sequestri , catture nè simile cose : la domanda è giusta e il Duca l'accoglie. Gli ultimi due riguardano la registrazione e il valore da darsi ai predetti capitoli . La nota apposta dice che si concede il gratis della spedizione , salvo per la scrittura , e si manda a chi sia espediente di osservare le risposte date. Abbracciando ora con uno sguardo e le domande e le risposte , non si può negare che i due agenti , se non hanno raggiunto intero il loro scopo , hanno però ottenuto molto ; ma ciò che più importa è che le concessioni ducali abbiano la loro esecuzione e non si perdano negli uffici della Camera . Questo sanno benissimo i nostri Sangermanesi , perchè si affrettano , firmato il tutto dal Duca il 3 settembre 1600 , a rivolgere una supplica alla Camera , nella quale , ripetuto quanto sopra e insistito sulla loro protesta e sulle riserve già fatte , ne chiedono la registrazione e che siano concesse e spedite le testimoniali . Da uomini accorti non vogliono tornarsene senza avere la dichiarazione precisa delle ragioni della Comunità ; ed era necessario far presto , perchè il Mendozza da parte sua non dormiva e per mezzo de' suoi aderenti in Torino sollecitava maggiori restrizioni ai diritti dei suoi sudditi futuri.

Ma le notizie che giungevano da San Germano non erano tali da eccitare i due procuratori a difendere la causa del Comune con lo stesso calore con cui l'avevano fino allora difesa. Qui v'erano consiglieri che o per invidia o per ignoranza o per interesse privato facevano delle riserve sul voto che avevano dato in consiglio , favorevole al consenso. Andando le cose un pò per le lunghe , s'intiepidivano gli animi e i due poveri agenti si lasciavano senza danari per le spese , tanto che questi , avendo avuto avviso che si desiderava uno di loro per sapere come stavano le cose , seccati e indispettiti , non aspettarono oltre e ritornarono entrambi. E più ancora dovettero adontarsi della condotta dei loro compaesani quando ebbero visto che , pur trattandosi di un affare di tanta importanza , dopo che per tre volte era stato dato il segnale del consiglio , solo pochi erano comparsi. Allora fu certamente che aggiunsero alla relazione alcune righe che , mentre fanno loro onore , dimostrano la noncuranza dei più dei consiglieri Sangermanesi . Essi finiscono di dar conto delle loro azioni con queste parole : " pretendendo il pagamento de nostre spese e vacacioni , ecetuati quelli quali se dichiareranno non gradir il sud.to per noi negociato , per li quali si contentiamo haver speso del nostro , con che non gioischano del per noi ottenuto e negociato , rincrescendone molto di non haver saputo nè potuto negociar meglio a beneficio di questa terra ; desiderando che altri supliscano e dolendosi di haver operato tropo contra il volere de particolari poco zelosi del pubblico e tendenti solo a proprii apetiti et opinioni apasionate e sindicatori delle altrui attioni benchè insuficienti al fare". Senza dubbio , se vi fossa stato maggior accordo fra i cittadini , che avesse permesso di provvedere i loro agenti d'una buona somma , argomento indispensabile in simili faccende , avrebbero avuto un risultato migliore " S'è ottenuto fin troppo " , escamano i due Sangermanesi nello sfogo naturale del loro animo , "per certa gente amante più del proprio che del pubblico interesse " ; ma anche costoro non tarderanno molto a pentirsi di non aver provvisto a casi propri quando erano ancora in tempo.

L'INFEUDAZIONE

Il 13 di aprile 1601 giungevano in S.Germano il senatore Bernardino Nadone , delegato da Carlo Emanuele I , e il capitano Giovanni d'Urbino , procuratore del Mendozza in sostituzione di Don Blasio d'Aragona : Quivi al banco della ragione in presenza di Lodovico Botta , maestro di campo di Antonio Lovazzaro da Como , colonnello del Duca , di G.B. Alciato e Francesco Rovaso , cittadini di Vercelli , testimoni conosciuti richiesti e pregati , si venne da essi e dai rappresentanti del Comune alla "Missione in possesso" del nuovo Marchesato nella persona di Don Sigismondo d'Este , Marchese di Lanzo , venuto espressamente a ricevere il giuramento di fedeltà in nome del Mendozza. Chiedeva don Giovanni d'Urbino che piacesse " Accompagnar , indur , metter et mantener con l'opportune inibitioni penalil'Ill.mo Sig. Don Sigismondo d'Este etc.. a nome et come procuratore etc.. in possesso o quasi del titolo o marchesato delli homini , giurisditione di prima et seconda cognitione di tutte le cause civili , criminali e miste , terra luogo e territorio del presente luogo e suoi dependenti ; insieme delle pene , emende , forni etc... e del castello , et generalmente di tutto quello in questo luogo puoteva spettar e pertener a detta S.A. per haverlo , tenerlo , goderlo et possederlo et farne , per ultima dispositione testamentaria , donatione et venditione per lui , soi heredi e successorii etc.. come cosa sua propria , reservato solo a S.A. et a suoi posteri et successorii il dirretto dominio homaggio et fideltà soliti a vassalli et feudatarii , et di poter esiger et recuperar anualmente detto tasso etc.." . Insieme chiedeva che il Podestà fosse posto e mantenuto " Nel possesso o quasi della prima cognitione di tutte le cause civili , criminali e miste et dependenti , come anche il simile per tutte le cause dependenti di seconda cognitione , con opportuna inibitione penale ...d'ingerirsi nè intromettersi nelle cognitioni et dependenze sudette etc.." La seconda parte riguarda il ricoscimento del Marchese e l'obbedienza da prestare a lui e ai suoi ufficiali. Dovevano ora rispondere i rappresentanti del Comune che erano il console Pietro Fisa e i procuratori del luogo Camillo Spada e Gio Giacomo Lesca . Questi protestano subito che per qualunque cosa abbiano a dire o a fare " non intendono derogare nè pregiudicare alle concessioni , franchigie , privilegii et altre immunità pertinenti alla detta Comunità , da detta S.A. concesse" , e ripetono le altre proteste fatte al Duca . Consentono che sia data al procuratore del marchese " il possesso della giurisdizione et infeudatione , alla forma et mente della investitura sopra ciò fatta et della interinatione dell'Ecc.ma , Camera etc..con che però a detti homini et Comunità , come per memoriale etc.. et senza preiudicio delle altre raggioni che li spettano per altre concessioni fatte , et che li siano osservati dalli signori giudici dependenti da detto Ill.mo Sig. Don Giovanni li statutti di detta Comunità ,,; non consentendo che al Sig. Procuratore sia dato il possesso dei molini , forni , boschi , gerbidi , pene criminali , acque , acquaggi , pescaggioni et altri redditi che sono di detta Comunità ; non dissentendo di giurare etc... salve le raggioni del supremo patrone et senza pregiudicio delle pene et multe criminali concesse etc... ; et di puoter far la nominatione del Podestà et essercir la giurisditione mediante la persona de' consoli conforme al solito , etc.. ; producendo inoltre le antiche concessioni et conventioni etc.... Et in conformità dell'autorità che detti homini hanno di elleger et nominar il Podestà , sin hora , per sparmir tempo , ellegano et nominano in Podestà il sig. Filippo Leria , cittadino di Vercelli , per loro podestà et giudice ordinario con l solite osservanze et stillo usato per il passato chiedendo sia confirmato et del tutto concessoli testimoniali". C'è pertanto un punto sul quale non sono d'accordo le due parti , sulla nonima del Podestà ; e sullo stesso argomento Don Giovanni d'Urbino replica protestando contro le addotte ragioni . Insiste per altro sulle sue precedenti richieste ed esige " di metter et mantener detto Ill.mo sig. Marchese di Lanzo con opportune inibitioni penali nel possesso o quasi del patronatto della capella della madonna nella Chiesa Parrocchiale del presente luogo et ogni altra raggione attione et causa del patronatto et altro spettante , dicendo et protestando che ove consenti alla detta nominatione et ellectione del detto Podestà , che intende et dichiara sia et debba esser senza pregiudicio etc... et per facilitar il possesso .....". Pareva così che fosse una concessione quello che ai Sangermanesi spettava di diritto ; ma il desiderio di por fine alla cosa li induce a non fare altra obbiezione ; e tolta ogni difficoltà , non restava ora al senator Nadone che mettere in possesso del marchesato il procuratore del Mendozza.

IL GIURAMENTO

Il messo del Borgo , Francesco della Molinara , per ordine suo si reca sopra tutti i cantoni e , previo il suono della tromba , comanda agli uomini e capi di casa che senza indugio , sotto pena di cinquanta scudi d'oro per ciascun contraffaciente , si rechino al banco della ragione presso la piazza a prestar giuramento di fedeltà e di omaggio . Furono 270 gli uomini e particolari che prestarono il giuramento . Di questi , occupavano qualche carica ; Gio Pietro Fisa , sindaco ; Camillo Spada e Gio Giacomo Lesca , procuratori ; Angelo Daniello , Antonio Brico da Balocco , Giacomino Giuseppe , Bernardino Mazinetto , Carlo Cara , Gio Corbellino , Bartolomeo Gattinara , Germano Barocio , Camillo Quaglia , Gio Pietro Bechio , consiglieri ; Gio battista Nogerio , da Trino , medico . Questo prestato , lo stesso Senatore insedia sul tribunale il nuovo Podestà Filippo Leria , confermato da Don Giovanni d'Urbino a nome del marchese , dandogli il possesso dell'esercizio della giurisdizione delle cause civili criminali e miste nel modo in cui era solito usare e fruire di detta giurisdizione il Duca , e il Podestà , per segno dell'ufficio , fa sonar la campana , con la quale , secondo la consuetudine , si avvertiva che si teneva giustizia. Poi si passa ad altra cerimonia . Si recano al Castello e , perchè non v'era ponte levatoio , il Marchese di Lanzo prende un pò di terra , " quella tenendo in mano , rappigliandola et gittandola via al modo che sogliono fare le veri patroni delle cose loro proprie" ; di qui vanno alle varie porte del Borgo che il rappresentante del Mendozza serra e apre , mandando ad attaccare pannoncelli , armi e salvaguardie alle case e ai luoghi soliti ; infine , date e scambiate le promesse , di essere fedeli sudditi da una parte , di mostrarsi buon signore e padrone amorevole e di osservare le franchigie ,ecc.. dall'altra , furono stesi gli atti da Lorenzo Lingua , cittadino di Mondovì , notaio in Torino e da Gio Pietro Bellino , cittadino e notaio di Vercelli .

Ciò avveniva , s'è detto , al 13 aprile ; tre giorni dopo al banco della ragione , davanti al Podestà e al Console Gio Pietro Fisa , si presentarono ventuno particolari della Strella , territorio di San Germano , e a loro volta prestarono il giuramento di fedeltà con le stesse dichiarazioni e riserve e costituendo loro procuratori speciali a presentare l'istrumento , i signori Pietro Antonio Bonino e Antonio Girardo . Il medesimo giorno giurarono altri trentadue uomini di San Germano , fra cui cinque consiglieri ; Benedetto Bonino , Antonio Corbellino , Gio Pietro Bruno , Germano Ghigliotti e Giovanni Gatto , e quei della villa di Robarello , in numero di dodici , fra i quali Benedetto Gibellino , milanese. Ancora al 2 di agosto , sempre in presenza del Podestà Leria e del nuovo console Gio Giacomo Lesca , compaiono , ultimi , nove Sangermanesi. In questo modo , compiute tutte le formalità , si trovava istituito un nuovo feudo , e gli abitanti di San Germano dovevano prepararsi a servire due Signori , perchè come vedremo , non cesseranno , per il fatto dell'infeudazione , di essere continuamente pressati e tormentati dal governo di Torino come prima erano ; soltanto si saranno aggiunte le noie e i gravami che stanno per procurar loro gli agenti di Don Giovanni di Mendozza.

I SANGERMANESI E IL MARCHESATO DEL MENDOZZA

Veramente la venuta del senatore Nadone e dei suoi agenti per la causa del Marchesato e i consulti dei legali per l'interpretazione dei capitoli erano già costati al comune buona somma di danari ; ma ciò non è nulla in confronto di quello che verrà poi. Vediamo difatti che , dopo tante insistenze , i nostri Sangermanesi non riescono ad ottenere quanto avevano chiesta ed era stato a loro assicurato. Sulla concessione di no far più parte del Capitanato di Santhià , pareva che non vi dovesse esser dubbio ; invece il capitolo che ne trattava rimase lettera morta ; nel che ebbero parte gli stessi Santhiatesi che erano contrari alla separazione e avevano presentato un memoriale al Duca perchè non si desse importanza alla cosa. E per la contribuzione per Carema e le altre terre canavesane , come si era provveduto dal Governo alla domanda del Comune ? Ce lo dice ora un manifesto del Consiglio locale che invita i borghigiani a provvedervi , e ce lo mostra la taglia che a questo fine viene imposta di grossi dieci e quarti due per soldo. Dal canto suo Don Giovanni d'Urbino , che si trovava a Milano oltre alla pretesa di vedere tutte le scritture della Comunità , vuole proibire a nome del Marchese , che nessuno tocchi le pietre delle mura che cadono diroccate , nè osi zappare , con badile o altro strumento , nella controscarpa e nella fossa : e pretende di obbligarli a ricorrere per le cause di prima appellazione niente meno che a Biella , da un Gio Andrea Pasquaro , cognitore a ciò deputato . Erano due pretese ingiuste : la prima , perchè le convenzioni parlavan chiaro , e l'auditore Spatis , appoggiandosi ad esse , dà loro tutte le ragioni ; la seconda , perchè era un grave incomodo e dispendio pei litiganti dover recarsi così lontano , mentre si poteva benissimo delegare persona più comoda. Intanto il Marchese esercita i suoi diritti , per opera di officiali coll'esigere il tasso dovutogli , col confermare il Podestà , protestando perchè se ne ritarda la nomina , insistendo sulla scelta di persone idonee all'alto ufficio ; e poichè il tasso non sempre vien pagato puntualmente , da Milano piovono i reclami e i rimproveri : pare che gli agenti marchionali non s'avvedano e non sentono un pò di pietà per il povero comune che versa nelle condizioni più tristi. Per sapere quali siano queste condizioni , basta dare un occhiata ai Registri più volte ricordati. Anche limitandosi agli anni dei quali abbiamo preso a trattare , noi incontriamo a ogni passo domande di danaro , imposizione di taglie , ordini di pagamento all'esattore per le continue , incessanti fortissime spese a cui il Consiglio è chiamato a provvedere .

 E stringe il cuore leggere le dichiarazioni dei consiglieri che la Comunità è misera e piena di debiti per le guerre passate , che non sa più a che Santo votarsi , che è costretta a togliere gli stipendi ai suoi avvocati e procuratori e a ritardare la nomina del Podestà , che non può far aggiustare le strade che sono in uno stato da far compassione. E le richieste di danaro non cessano : ora è il Chiavaro di Santhià che invita a versare l'interesse della somma dovuta al Capitanato , ora è un delegato del Duca che pure da Santhià raccomanda di concorrere per un donativo alle loro Altezze Serenissime ; ora è l'avviso di apprestare alloggio e munizioni per le milizie di passaggio . Oh questo passaggio delle truppe ! E' un tormento , un'oppressione , un incubo per i poveri amministratori ! Bisogna vedere come si raccomandano all'uno e all'altro per tener lungi dal loro capo la tempesta ! Qualche rara volta ci riescono , sempre sborsando danaro , s'intende ; ma quando non ottengono nulla , devono affrettarsi a provvedere a tutto se non vogliono andar incontro a danni più gravi. Ad esempio , il 13 dicembre 1602 vieno ordinato di pagare a Lorenzo Vasquez una doppia per i servizi resi alla Comunità col far divertire l'alloggiamento della fanteria spagnuola. Così stanno le cose , la carica di connsigliere non poteva essere molto ambita . Troviamo difatti nel Registro del 1602 che i nuovi eletti non vogliono giurare , adducendo ragioni particolari ; e per far si che accettino , si è obbligati a ricorrere al Consiglio generale con minaccia di pena di scudi tre d'oro a chi manchi. Neppure per l'ufficio di Podestà è facile trovare chi venga volentieri ; chè lo stipendio era tutt'altro che grasso , e poi non di raro si sospendevano i mandati e rimanevano delle somme arretrate .

Insomma le finanze del nostro Comune forse non erano mai state così povere come in questo momento , e dovrebbe meravigliare il veder fatta in Consiglio e accettata dalla maggioranza una proposta che tendeva a far spendere una somma non indifferente per offrire un dono al marchese di S.Germano. Ma si ha a considerare che questa dei donativi era una consuetudine , si può dire generale a quei tempi. Non v'era nascita o matrimonio , non partenza o arrivo di principi , che non si ricorresse ai Comuni perchè con una oblazione più o meno spontanea partecipassero alle spese che s'erano incontrate. Nè solo i principi avevano adottato questo sistema : qial'era quella persona di qualche autorità , a cui , nel passare per una città o per un borgo , non si offrisse anche un piccolo dono nella speranza di averne l'appoggio in una delle tante occasioni nelle quali si era in lotta col fisco o coi luoghi vicini ? Non abbiamo adunuqe stupirci se anche nel Consiglio sangermanese si trova chi , dimenticando la miseria del Comune , propone un donativo per il Mendozza e se i più dei consiglieri approvano la proposta. Se non temessimo di dilungarci troppo , vorremmo qui esporre tutte le trattative di questo inopportuno donativo , certi che narrazione non riuscirebbe affatto priva di interesse ; ne diremo però qualche cosa , che servirà sempre per la miglior conoscenza degli uomini e dell'amministrazione del nostro borgo . Si ricorda adunque in una seduta consigliare che è tempo di dimostrare il loro buon animo al Marchese , che da più di un anno ha preso possesso del luogo ; tanto più che il sig. Gio Pietro Ghigliotti si offre di far dar credito alla Comunità in Milano . La cosa in massima piace e solo si raccomanda di spendere il meno possibile ; ma la questione , da questo punto , minaccia di diventar lunghissima .

Il Ghigliotti va a Milano e , d'accordo con Don Giovanni d'Urbino , ordina certe coperte a un mercante di là ; tornato e riparlatone in Consiglio , nasce un subbuglio : chi dice che la somma fissata di ottocento ducatoni è esagerata ; chi invece la trova troppo piccola e vuol portarla a mille ; chi infine non vuol sapere nè di donativo nè d'altro , affermando che ha da pensare a tante cose più urgenti . Si decide di radunare anche i capi di casa e l'approvazione della proposta non manca ; ma subito sorgono contestazioni sull'autorità del Consiglio e si arriva a sospendere l'ordinazione delle coperte. Quando si riparla del negozio , è solo per decidere quel che si debba fare della coperta che il mercante tien preparata , e , da ultimo tarmontata ogni idea di donativo , si spendono duecento ducatoni per pagare il mercante e si assiste a una sfuriata del Consigliere Ghigliotti che ha dovuto rimetterci del suo mentre forse s'era aspettato qualche guadagno. Dopo ciò , per un pò di tempo , nulla di grave viene a turbare la calma del borgo , solo gli amministartori fanno sforzi sovrumani per tenersi a galla in mezzo alle spese che s'accumulano loro intorno : sperano in un periodo di pace che permetta di attendere alle campagne e alle professioni e di ricavarne qualche buon frutto ; ma in cielo si fa ad oriente minaccioso e colle voci indistinte di prossime ostilità i sangermanesi si preparano al peggio.

 

Elenco dei Podestà di S.Germano dal 1596 al 1611
Dal  Al Podestà
1596 1603 Filippo Leria , cittadino di Vercelli
1603 1604 Marcantonio Alario da Vercelli
1604 1607 Gio Antonio delle Porte . da Bianzè
1607 1608 Gerolamo Lumello
1608 1609 Gio Antonio delle Porte
1609 1610 Gio Giacomo Groma , da Biella
1610 1611 Gio Pietro Marochino

 

BIBLIOGRAFIA - Don Giovanni di Mendozza e il Marchesato di San Germano - Luigi Rollone - 1899