Le origini del Partito socialista in San Germano e nel Vercellese

I primi fermenti

Il Partito dei lavoratori italiani venne fondato a Genova il 15 agosto 1892 nella sala dei carabinieri in congedo, dove si erano radunati - solo in parte per la verità, data la gran confusione del momento - quelli tra i circa trecento congressisti che in linea di massima si riconoscevano nelle posizioni della Lega socialista milanese di Turati e Prampolini. Tra i delegati, il tipografo Vittorio Zambon, in rappresentanza del Consolato operaio di Novara, e una nutrita (e ideologicamente composita) pattuglia di biellesi, nella quale emergeva la figura di Luigi Fila, anima del movimento nella zona. Nessuna organizzazione del Vercellese vi fu rappresentata, anche se l'Associazione generale operai del capoluogo compare nell'elenco di quelle che avevano versato la quota di adesione all'ultimo momento. L'unico vercellese presente fu Luigi Galleani, da circa otto mesi definitivamente stabilito a Sampierdarena, il quale fu tra i protagonisti degli incidenti sollevati dagli anarchici e dagli operaisti più intransigenti nel primo giorno dei lavori congressuali, incidenti che indussero i socialisti ad abbandonare la sala Sivori per riunirsi altrove.
Il movimento socialista in provincia di Novara - riferiva Alessandro Buratti sulla "Lotta di classe" del 17-18 settembre 1892 - non si era fino ad allora quasi fatto sentire, e si attendevano le prossime elezioni politiche come occasione di propaganda. Tuttavia, per restare ai centri più importanti, i biellesi avevano due rappresentanti in consiglio comunale (Camillo Gioggia e Luigi Sola) e quelli di Novara, nelle parziali di luglio, per poco non vi erano entrati, approfittando dell'astensione dei democratici. Più arretrata la situazione nel Vercellese, anche se esistevano sicuramente "compagni isolati", come, nel capoluogo, il tipografo Giovanni Paggi, il quale, dieci anni dopo, motivando le dimissioni dal Circolo socialista a direzione rivoluzionaria, affermerà di conservare "le idee ed i principi [da lui] sin dal 1893 professati pubblicamente"
Dallo spoglio della "Lotta di classe" e del "Grido del Popolo" nessuna località del Vercellese risulta toccata dalla propaganda socialista nel 1893; fa eccezione una conferenza tenuta verso la metà di luglio a San Germano, su invito della locale cooperativa fra contadini, da Giacinto Menotti Serrati, del nucleo di propaganda di Milano. Nell'occasione l'oratore parlò per circa un'ora nel cortile della società, affollato di braccianti e di donne, esortando "all'unione, all'istruzione tutti quanti si [sentivano] vittima del privilegio", e terminando tra gli applausi "colle parole che Cristo volgeva al povero Lazzaro: Alzati e cammina". ll breve resoconto - apparso sulla "Lotta" e dovuto allo stesso Serrati - si conclude con la generica attestazione dell'adesione da parte dei braccianti al Partito dei lavoratori.
Bisognerà attendere la primavera del 1894 per vedere un germe di organizzazione nel capoluogo, quando "alcuni volonterosi giovani, dapprima dispersi e disorganizzati, [gettarono] le basi di un circolo socialista" e promossero con esito soddisfacente una prima conferenza, tenuta da Ida Fontana nella sede dell'Associazione generale operai, sul tema "La lotta per l'esistenza", al termine della quale il dibattito non ebbe però luogo, per l'intervento del sottoprefetto e dei rappresentanti della società, "retta e amministrata da capitalisti". ll circolo, denominato "Unione socialista vercellese", venne definitivamente costituito a metà maggio col contributo determinante dell'avvocato Modesto Cugnolio per iniziativa di Ulderico Fontana un ferroviere che risiedette a Vercelli dai primi di marzo alla metà di luglio, svolgendo in provincia un'attiva propaganda per la costituzione della Lega ferrovieri italiani.
Se si considera che al II Congresso dei socialisti piemontesi - che si svolse ad Asti il 22 aprile 1894 e che diede vita alla Federazione regionale - risultano aderenti i soli gruppi di San Germano e di Vercelli (quest'ultimo, come si è visto, ancora in fase di costituzione), pare lecito concludere che, al dispiegarsi della repressione crispina, fossero queste le uniche due località del Vercellese in cui esistesse una qualche forma di attività organizzata. Per il mese di agosto si hanno ancora notizie di iniziative di propaganda, attuate con discreto successo (malgrado le intimidazioni da parte di autorità di Cigliano e Novara), a Borgo d'Ale e nelle zone limitrofe, ad opera probabilmente del maestro Giovanni Enrico, che, il 12, intervenne alla festa dei cooperatori di Tronzano, recando il saluto della sezione di Torino.
La mattina del 22 ottobre 1894, pochi giorni dopo lo scioglimento del partito da parte del prefetto di Milano, le organizzazioni socialiste, senza che si verificassero incidenti, furono colpite da analogo provvedimento in tutte le province del regno; in quella di Novara l'autorità di pubblica sicurezza dovette procedere solamente nei confronti del circolo di Arona, essendosi tutti gli altri spontaneamente sciolti "al primo apparire delle leggi eccezionali" di luglio, come quello di Vercelli, o anche per difficoltà di vario genere, come il Circolo di studi sociali di Novara.

I progressi dell'organizzazione

Sotto la spinta della persecuzione crispina, nel III Congresso (Parma, 13 gennaio 1895), per salvaguardare l'autonomia delle strutture economiche di classe, il Partito socialista italiano - secondo la denominazione definitivamente adottata - sostituì al criterio delle adesioni collettive quello delle adesioni individuali, organizzate per sezioni. Il congresso - al quale poterono intervenire solamente 64 rappresentanti, tra cui quelli di Novara e Serravalle Sesia - stabilì di partecipare alle elezioni nel maggior numero di collegi possibile e con candidature proprie, lasciando libertà di appoggiare nei ballottaggi quei candidati che "dessero serio affidamento di intendimenti di libertà". Poco dopo, il Consiglio nazionale redasse i programmi minimi politico ed amministrativo, programmi che, riproponendosi obiettivi quali il suffragio universale, l'imposta progressiva, le otto ore, ecc., potevano essere condivisi dai rappresentanti dei cosiddetti partiti popolari o affini (repubblicani, democratici, radicali) e la cui realizzazione avrebbe rappresentato un inizio del lungo e gradevole processo di transizione alla società collettiva.
Il 28 aprile uscì a Novara "Il Proletario" (redattore e gerente responsabile Alessandro Buratti), primo, effimero tentativo di dar vita a un organo dei socialisti della provincia, che, il 7 e il 15 aprile, nel corso di riunioni aperte anche ai non ancora iscritti, dibatterono la questione elettorale; per evitare persecuzioni, specie nei piccoli centri, venne confermato alla direzione della propaganda l'avvocato Francesco Beltrami, novarese ma residente a Milano. Nel Vercellese, il 26 maggio, essi riportarono 129 voti con Fabrizio Maffi nel collegio di Crescentino (poco meno del 3 per cento del totale); in quello di Vercelli, scartata la candidatura-protesta di De Felice Giuffrida proposta dal Comitato di Novara, si affermarono "come dimostrazione di amicizia e di pietà" sul nome di Luigi Galleani, recluso a Parma, che ne ebbe 166 (4,7 per cento, ma si recò alle urne meno della metà degli iscritti); in quello di Santhià non presentarono alcun candidato, nonostante fosse stato annunciato a un certo momento il nome del medico Aroldo Norlenghi.
La prima notizia relativa alla ripresa del movimento nel Vercellese riguarda la costituzione del Circolo elettorale socialista di San Germano, avvenuta l'11 agosto, in occasione dei festeggiamenti per il ventiseiesimo anniversario della Società operaia dei contadini giornalieri, ai quali partecipò anche Dino Rondani: alla sera, con una ventina di adesioni, venne costituito il circolo, "fra l'entusiasmo dei contadini".
L'8 marzo dell'anno successivo fu fondato quello di Vercelli; la sezione - che contava inizialmente 33 iscritti - assunse il nome di "Circolo Popolare Vercellese" e fu inaugurata nel mese di aprile con una conferenza di Rondani. A fine marzo una quindicina di soci diede vita al circolo di Livorno e il 12 aprile venne inaugurato quello di Gattinara, sorto per iniziativa di Benedetto Ferraris e denominato "Il sole dell'avvenire"
Il 7 giugno 1896 si svolse a Novara, nella sede del circolo locale, il I Congresso socialista provinciale, sotto la presidenza di Oddino Morgari, membro del Comitato regionale e del Consiglio nazionale. Ventisette le località rappresentate: tra i delegati, quelli di Bianzé (Alberto Navazio e Fabrizio Maffi), Gattinara (Benedetto Ferraris), Lignana (Arcangelo Giublena), San Germano (Dino Rondani), Santhià (Piero Miglietti), Serravalle (Antonio Prino) e Vercelli (Abramo Debenedetti). Rondani tenne la relazione sul movimento provinciale degli ultimi tre anni, a partire cioè dal Congresso di Reggio Emilia (nel quale era stato rappresentato da 8 delegati, a nome di 656 compagni): grazie anche al contributo dato alla propaganda dal gran numero di confinati in seguito alla repressione attuata da Crispi, gli iscritti superavano ormai il migliaio, organizzati in una ventina di circoli in tutti i collegi elettorali, e la provincia era quella che in Piemonte vantava il maggior numero di adesioni. Quanto alla stampa, Rondani riferì della grande diffusione del "Corriere Biellese" (1.700 copie e 300 abbonati, dopo appena quattro mesi di vita); toccò anche la dibattuta questione della tattica, il problema cioè della possibilità di alleanza coi "partiti affini", dichiarandola sostanzialmente una perdita di tempo: "Avendo abbastanza bene sgobbato durante quest'ultimo anno [...] è naturale che non ci sia rimasto tempo per discutere della tattica. [...] Per noi la migliore delle tattiche è ancora una sola: lavoro, lavoro, lavoro. La peggiore è certamente quella che impiega più della metà del già scarso tempo consacrato al partito nel discutere sino alla noia di transigenza e di intransigenza, quasi fossimo alla vigilia di chissà quali avvenimenti politici, in una nazione in cui ventinove milioni e tre quarti su trenta milioni non sanno ancora cosa realmente i socialisti vogliano [e quando] non ci contiamo tuttavia come forza organizzata nella provincia che nella proporzione di qualche millesimo più dell'uno per mille".
Al termine dei lavori venne costituita la Federazione provinciale, la cui direzione comprendeva il cartolaio Enrico Repetto e il dottor Luigi Giulietti (entrambi di Novara, rispettivamente segretario e cassiere), oltre ai rappresentanti permanenti dei dodici collegi: per Crescentino fu nominato lo studente Giuseppe Balocco, per Santhià l'impiegato Pietro Miglietti e per Vercelli il geometra Francesco Massazza; quali rappresentanti al Comitato regionale furono designati Pietro Ballario (di Novara) e Rondani (per il Biellese).
Alla fine del 1896 la zona in cui la propaganda era stata più assidua e il movimento cominciava ad essere incisivo era quella a cavallo dei collegi di Santhià e Crescentino: "Tronzano, Bianzé, Santhià, Crova e San Germano [si potevano considerare] 'conquistati' dal partito"; la presenza di Maffi, che, dopo il licenziamento dalla condotta medica di Bianzé, aveva abbandonato ogni cautela, cominciava a dare i suoi frutti. "Bianzé - riferisce una corrispondenza, quasi sicuramente dovuta allo stesso Maffi, sulla "Lotta di classe" - è il luogo in cui s'è formata meglio la coscienza dei proletari, che sono in massima parte contadini risaiuoli. Basti dire che in un centro di circa 2.500 abitanti c'è un circolo socialista di oltre 200 soci, tutti paganti; che vi si vendono oltre 100 copie del 'Lavoratore novarese' per settimana, nonché centinaia di opuscoli che vengono letti e commentati. Il circolo ha un bel locale dove si tengono conferenze e conversazioni, e dove si vorrebbe pur fare un po' di scuola elettorale".
E proprio lì, il 9 settembre, centottanta tagliariso avevano "incominciato a levare il capo in una questione di salario", chiedendo per iscritto al sindaco e al prefetto di essere pagati come nei paesi vicini e come le squadre forestiere nel comune, e concludendo vittoriosamente, assistiti da Maffi, il lungo braccio di ferro con gli agrari.
Come due anni prima, anche nelle elezioni del 1897 il rappresentante degli agrari Piero Lucca, che non aveva avversari nel collegio di Vercelli, si impegnò a fondo in quelli di Santhià e Crescentino per la riuscita dei candidati governativi Ricci e Fracassi, esercitando ogni forma di pressione, con la collaborazione del sottoprefetto Carmelo Adami Rossi e delle forze dell'ordine.
Il 31 gennaio 1897 il prefetto di Novara aveva decretato lo scioglimento di sette circoli socialisti della provincia, tra cui quelli di Bianzé e di Santhià, ordinando di porre sotto sequestro atti, registri ed emblemi e di chiudere i locali, per motivi di ordine pubblico, in quanto risultanti dalla ricostituzione di associazioni già disciolte con precedente decreto e "ispirate alla lotta di classe e all'odio fra le classi sociali od agitazioni contro la libertà del lavoro in modo pericoloso per la tranquillità pubblica".
Le elezioni del 21 marzo registrarono progressi del Partito socialista, soprattutto nel collegio di Crescentino, dove Maffi ottenne ben 1.744 voti (contro i 2.334 del marchese Fracassi), in quello di Vercelli il ferroviere Mantovani ne ebbe 511 e Lucca 2.698; a Santhià Piero Miglietti, anima del movimento nella zona, 896, il marchese Ricci 2.117 e il progressista Pozzo 2.528: quest'ultimo, grazie anche all'appoggio dei socialisti, nel ballottaggio ebbe la meglio e Miglietti che, messo in minoranza sulla sua proposta di astensione, aveva appoggiato il candidato moderato, venne espulso dal partito. L'espulsione fu ratificata dal II Congresso della provincia di Novara, che si svolse a Vercelli il 6 giugno, presenti 60 delegati, tra cui quelli di Bianzé, Casanova Elvo, Crova, Fontanetto Po, Gattinara, Lignana, Quinto, San Germano, Santhià, Serravalle Sesia, Stroppiana, Trino e Vercelli
L'ordine di sciogliere i circoli di Santhià e di Bianzé - eseguito il 3 febbraio - ebbe una coda processuale, in seguito alle denunce da parte dell'autorità di pubblica sicurezza; ma la magistratura ritenne infondate quasi tutte le accuse, e soprattutto non assecondò il disegno di far dichiarare i circoli associazioni di per sé sovversive.
Il 15 aprile, infatti, il pretore di Santhià, su conformi conclusioni dell'accusa, assolse Miglietti e altri quattro socialisti dall'imputazione di aver ricostituito il circolo, dichiarando anzi incostituzionale il decreto di scioglimento. Il 15 luglio, difesi da Costantino Greppi e Modesto Cugnolio, lo stesso Miglietti e altri tre compagni comparvero davanti al Tribunale di Vercelli, imputati rispettivamente quali fondatore e dirigenti di un'associazione diretta "ad eccitare all'odio tra le classi sociali in modo pericoloso per la pubblica tranquillità", con riferimento soprattutto ad alcuni scontri che si erano verificati al tempo della monda nel giugno dell'anno precedente. Miglietti dichiarò di aver costituito il circolo nel maggio del '96 con una cinquantina di adesioni, salite in autunno a 392, allo scopo di migliorare le condizioni della classe lavoratrice e in particolare di ottenere un aumento delle paghe, abolire i cottimi e istruire i soci perché potessero acquisire l'elettorato. Cugnolio concluse la sua arringa augurandosi che si assolvessero gli imputati e venissero loro restituiti gli oggetti sequestrati, "cessando lo scandalo che le lavagne ed i quaderni della istruzione elementare [fossero in quello] scorcio di secolo costretti a far la squallida figura di corpo di reato". Il Tribunale, riconoscendo che il circolo non era diretto ad istigare all'odio tra le classi, applicati i condoni previsti, condannò per fatto personale il solo Miglietti a un mese di reclusione.
Il 3 e 4 maggio davanti allo stesso collegio giudicante era comparso Maffi con l'imputazione di oltraggio al sottoprefetto di Vercelli, per avergli detto, durante lo sciopero dei tagliariso di Bianzé dell'autunno precedente, che "le autorità [sposavano] sempre la causa dei padroni e [tardavano] a provvedere, per procurarsi poi i facili trionfi delle repressioni" violente. Condannato a 250 lire di multa, condonate in seguito ad amnistia, Maffi (difeso, come nella precedente circostanza, da Poddigue e Cugnolio) veniva nuovamente processato il 9 e 10 agosto, per avere, sempre nell'ottobre del 1896, in Bianzé, nel circolo da lui fondato ed in altre circostanze, "eccitato all'odio tra le classi sociali". Ultimato il dibattimento, egli si alzò per fare una dichiarazione: "Io ho cercato - disse - [...] di elevare intellettualmente, moralmente e fisicamente l'abbrutito contadino vercellese. Ebbene, senza tema di essere giudicato affetto da delirio di persecuzione, posso affermare che nel Vercellese v'è una coalizione [...] la quale, dopo avermi poliziescamente perseguitato, vilipeso, boicottato, spera di trovare la magistratura tanto compiacente da darmi l'ultimo colpo, per ora, e di privarmi così dei diritti civili e politici, aprendomi anche la via del domicilio coatto". Ma i giudici furono di diverso avviso, e lo mandarono assolto per inesistenza di reato, tra gli applausi del foltissimo pubblico37.

La repressione del 1898

All'inizio del 1898 il movimento socialista in provincia di Novara manifestava una grande vitalità: ai primi di marzo la stampa del "Lavoratore" venne trasferita nel capoluogo, dove Angelo Pizzorno assunse l'ufficio di direttore stipendiato del giornale e dell'organizzazione e propaganda per l'intera provincia. Maffi, che aveva fissato la residenza a Torino, era attivo nel collegio di Crescentino; Carlo Sambucco era stato confermato a propagandista in quello di Vercelli.
Nonostante l'assillante controllo delle forze dell'ordine, le conferenze erano affollate: la sera del 2 gennaio Pizzorno parlava davanti a trecento persone a San Germano nella sede del circolo da poco ricostituito; il 13 marzo Maffi teneva una conferenza privata a Bianzé, alla presenza di circa cinquecento ascoltatori, giunti anche da Livorno e Borgo d'Ale.
Le denunce arrivavano puntuali, così come sovente le condanne; queste ultime comportavano, ovviamente, anche il grosso problema delle multe da pagare, ma i processi, sempre seguiti da un pubblico numeroso, costituivano un'ottima occasione di propaganda.
Anche a Vercelli la locale sezione appariva attiva. Per sua iniziativa, la sera del 15 gennaio fu indetto un comizio di protesta contro il rincaro del pane, al quale aderirono le leghe di resistenza fonditori, tornitori e la sezione vercellese di quella ferrovieri; le società di mutuo soccorso orefici, muratori e bottonai; il Circolo cattolico "Guala Bicchieri"; la cooperativa e il Circolo socialista di San Germano. Sorvegliato dal solito grande schieramento di guardie e carabinieri, il comizio fu tenuto nei locali della Consociazione cooperativa, stipati da più di trecento persone, nonostante il sottoprefetto avesse vietato l'affissione dei manifesti. Al termine della riunione, per ottenere l'assenso di tutti i presenti, venne posto in votazione e approvato all'unanimità un ordine del giorno con cui si reclamavano provvedimenti pratici, e cioè l'abolizione del dazio doganale sul grano e comunale sulle farine e l'esercizio della panificazione da parte del municipio, mediante l'impianto di un mulino e di forni.
Due mesi dopo la stessa sezione promosse la costituzione di un comitato per commemorare Felice Cavallotti, formato da Modesto Cugnolio (vice presidente della Consociazione cooperativa), Ermenegildo Gallardi (presidente dell'Associazione generale operai), Pompeo Lorea (segretario del circolo), dallo scultore Francesco Porzio, dal garibaldino Vincenzo Servadei e dal professor Angelo Treves. La manifestazione si svolse il 27 marzo e riuscì - riferisce "La Sesia" - "imponente e ordinata". Vi aderirono diverse società di mutuo soccorso, con l'impegno che l'oratore ufficiale non avrebbe parlato "socialisticamente". Nonostante il cattivo tempo intervennero numerosi i socialisti di Bianzé, San Germano, Stroppiana, Gattinara e di altri paesi, cui si aggiunsero i rappresentanti delle cooperative che, nella mattinata, avevano sottoscritto l'atto costitutivo della Camera del lavoro. Presentato da Gallardi e frequentemente interrotto da applausi, Antonio Piccarolo parlò al Politeama Facchinetti, brulicante di agenti e carabinieri e gremito di un pubblico vario, ma prevalentemente operaio: più di duecento garofani rossi infilati all'occhiello, numerosi distintivi socialisti; nonostante il divieto dell'autorità e sia pure avvolta "più che mai arrotolata" attorno all'asta, comparve tra gli applausi la bandiera rossa del circolo. Ultimata la cerimonia, garibaldini e socialisti (comprese parecchie donne) si recarono a deporre una corona di fiori al monumento a Garibaldi, dove Piccarolo protestò energicamente contro il contegno dell'autorità.
In occasione del 1 maggio il Circolo popolare socialista decise di solennizzare la ricorrenza organizzando per le 14,30 una conferenza privata al Facchinetti. La conferenza fu vietata all'ultimo momento (secondo la versione dei socialisti), di modo che, all'ora convenuta, parecchia gente si era radunata davanti al teatro, presidiato da agenti e carabinieri, ai quali si aggiunsero, chiamati di rinforzo, cinquanta uomini del 45o Fanteria. Venne intimato alla folla di sciogliersi, e, nel trambusto che ne seguì, furono arrestati Pompeo Lorea, scrivano e segretario del circolo, il geometra Francesco Massazza, il meccanico di origine prussiana Lodovico Fust, il fonditore Adolfo Rosso, il falegname Giovanni Zaninetti, lo zoccolaio Battista Fiore e il contadino Giuseppe Prospero, questi ultimi due di San Germano.
In questa località, la sera dello stesso giorno, si verificarono tumulti, originati da un episodio iniziato col canto dell' "Inno dei lavoratori" da parte di una sessantina di reduci dalla mancata conferenza di Vercelli e culminato in un assembramento minaccioso di circa seicento persone che chiesero e ottennero la liberazione di due loro compagni arrestati nell'occasione dai carabinieri. Nella notte vennero effettuati una quindicina di arresti, seguirono parecchie denunce e il paese subì "un piccolo stato d'assedio"
L'8 maggio furono arrestati a Vercelli Antonio Piccarolo e Modesto Cugnolio, il 10 il negoziante in stoffe Abramo Debenedetti, l'orologiaio Epaminonda Bosetti, il calzolaio Giuseppe Peluffo detto Bredo e il fonditore Romeo Chiari di Fermo; saranno rilasciati il 27 e l'ultimo rimpatriato. Identica sorte attendeva pochi giorni dopo (sempre di notte, come nei casi precedenti) il bracciante Francesco Lazzarotti, presidente delle cooperativa di San Germano, figura di grande prestigio e creatura dell'ultra legalitario presidente dei cooperatori vercellesi Mario Guala: riotterrà la libertà dopo un mese di carcerazione.
Il 28 maggio il sottoprefetto scioglieva le cooperative di Santhià e di San Germano.
I fatti più gravi del "maggio vercellese" accaddero a Trino la domenica 29, quando fu conosciuta la paga giornaliera della settimana di monda, fissata in 80 centesimi in base alla media fatta elaborare dalla Sottoprefettura. "Una turba di donne e di ragazzi si dette a gridare che i signori li vogliono far morire di fame [...]; in men che non si dica - riferisce "La Sesia" - si trovò radunato sul crocicchio delle due vie principali [...] un numero straordinario di contadini e di ragazzi, che issavano a mò di bandiera dei cenci sopra i bastoni, e tutti insieme si riversarono come un torrente impetuoso verso la casa del sindaco, schiamazzando ed urlando": un agrario "passò un brutto momento", e la casa del sindaco e le sedi del Distretto irriguo e della Società operaia subirono danneggiamenti e devastazioni.
Se i fatti di Vercelli sono da attribuirsi al proposito dell'autorità di colpire i principali esponenti del Partito socialista del capoluogo e quelli di San Germano si possono leggere in un'ottica sostanzialmente non diversa, l'episodio di Trino è invece idenfico ai tanti che si verificarono in quei mesi in Italia, a causa del malessere sociale prodotto dallo stato di grave indigenza delle classi popolari.
I processi si svolsero rispettivamente il 5 e 6 maggio, il 30 giugno e 1 luglio, il 20 e 21 giugno. Il Tribunale di Vercelli assolse lo Zaninetti e condannò Lorea a 4 mesi, Massazza a 2 e gli altri quattro a 10 giorni di reclusione; per i tumulti di San Germano ci furono cinque assoluzioni e diciannove condanne, da un minimo di 4 mesi di reclusione e 100 lire di multa a un massimo di 13 mesi, 10 giorni e 200 lire; per quelli di Trino le pene variarono da 12 giorni a 10 mesi e 200 lire: dei 31 imputati, 5 vennero assolti e 9 rimessi in libertà, avendo già subito 23 giorni di carcerazione preventiva.

Il movimento cooperativo

Il movimento socialista vercellese ebbe sin dalle origini e conservò sostanzialmente sempre un carattere pragmatico, relegando il dibattito ideologico in un ruolo, se non proprio irrilevante, decisamente marginale. Coincise, nella sostanza, con l'organizzazione economica, soprattutto con quella bracciantile, la cui espressione più significativa, nel periodo qui considerato, era rappresentata dalle istituzioni cooperative. La prima era stata quella di Asigliano, sorta il 5 gennaio 1885, ma ben presto furono i cooperatori di San Germano ad assumere un ruolo propulsivo per tutto il movimento; essi, benché rigidamente allineati sulle posizioni della cooperazione "neutra" volute dai dirigenti della Consociazione (o Federazione) vercellese, stabilirono rapporti con il Partito operaio prima e quello socialista poi, ascoltando la parola dei rispettivi propagandisti.
Apostolo e capo carismatico del movimento fu l'avvocato Mario Guala, che dal giugno 1893 al novembre dell'anno successivo ricoprì l'ufficio di vice presidente della Lega nazionale delle cooperative. Anche il futuro leader dei socialisti Modesto Cugnolio era stato tra i pionieri dell'idea cooperativa, e, pur senza essersi iscritto al partito, nel 1896 (e probabilmente anche prima) aveva già aderito al socialismo, adesione che per lui si concretava nell'attività incessante, nell'estrema duttilità tattica, nell'utilizzo di tutti gli spazi concessi dalla legislazione e più in generale di tutti quelli - resistenza compresa - ritenuti utili al miglioramento della classe lavoratrice, nel disinteresse per le questioni ideologiche. "L'unica differenza - scriverà nel 1912 - che il lavoratore sa istituire è tra i veri e i falsi socialisti. Reputa 'falsi socialisti' quelli che, acquetandosi a miglioramenti temporanei, consolidano in realtà, con la soddisfazione dell'ottenuto zuccherino, il regime borghese; reputano 'veri socialisti' quelli che non si acquietano mai, proponendosi di camminare di conquista in conquista fino alla completa abolizione della schiavitù del salario, fino alla emancipazione del lavoratore da ogni sfruttamento padronale, finché ognuno goda l'intiero frutto del suo lavoro".
Lo scontro in atto in quegli anni all'interno della Lega nazionale delle cooperative tra l'interclassismo moderato e la tendenza socialista ebbe ripercussioni anche in seno al movimento cooperativo vercellese, dopo che, nel dicembre 1896, era stata proibita un'assemblea di braccianti, convocata a San Germano per reclamare la ripresa dei lavori di sterro del Naviglio d'Ivrea nei quali speravano di essere assunti. Il successivo 17 gennaio, nell'adunanza dei presidenti delle cooperative, indetta per il rinnovo delle cariche, Guala (che aveva consigliato come sempre la calma e aveva udito "censure alla sua condotta, essendosi supposto che il suo 'soverchio' rispetto alla legalità [fosse] poco proficuo, e che assai più [avrebbe ottenuto] una presidenza battagliera, forse socialista"), difese il suo operato e fece approvare l'invio al governo di un memoriale sottoscritto da milleduecento braccianti, contenente la richiesta di riprendere i lavori. "Egli, nonostante gli insulti che l'autorità [recava] ai lavoratori, [era] d'opinione che non si [dovesse] in nessun caso né sortire dalla legalità, né esorbitare dalla cooperazione per darsi al socialismo", poiché la "cooperazione [era] principio e forza per se stessa", indipendentemente dalle dottrine che i singoli cooperatori professavano, e comunque i lavoratori avrebbero pagato lo scotto di un eventuale "movimento di resistenza e di ribellione". All'unanimità egli venne riconfermato alla presidenza, e Cugnolio retrocesso da vice presidente a capo del Consiglio arbitrale. Cugnolio dichiarò allora di essere sempre a disposizione dei cooperatori per continuare le battaglie intraprese, ma di non poter accettare la sostituzione della carica, poiché, dopo le parole di Guala, essa aveva avuto il significato di biasimare la sua condotta come vice presidente, della quale peraltro si assumeva piena responsabilità, rivendicando di averla sempre conformata alla più stretta legalità.
La frattura veniva successivamente ricucita e Cugnolio rieletto alla vice presidenza ai primi di gennaio 1898. Pochi mesi prima, all'VIII Congresso dei cooperatori, i delegati dell'organizzazione vercellese e monferrina (Guala, Cugnolio e Giorcelli di Casale) avevano votato l'ordine del giorno socialista Nofri-Beltrami che, proclamando la sfiducia nei pubblici poteri, indicava nell'organizzazione proletaria la sola forza in grado di modificarli, in modo "da ottenere almeno una riforma tributaria a base progressiva come principio di trasformazione dell'attuale sistema economico, causa unica dei mali lamentati". Nell'occasione, Guala, grande protagonista del congresso, aveva anche affermato che, dissenso ideologico a parte, occorreva riconoscere che i parlamentari socialisti erano "i soli che a viso aperto [difendevano] la cooperazione". Si era infatti convinto che era "ormai ingenuo mandare deputazioni ai ministri, invocare leggi dal Parlamento ove la voce cooperativa non [era] intesa, a fidarsi dei giudicati giuridici, [quando] la magistratura in materia cooperativa [emetteva] tutti i giorni sentenze tutte discordanti le une dalle altre, per modo che [era] impossibile un criterio e una guida sicura".
Nei primi mesi del 1898 prese definifivamenteSan Germano, corpo la proposta da lungo tempo caldeggiata da Francesco Lazzarotti, presidente della cooperativa di  di costituire un organismo che provvedesse a risolvere quelli che erano gli "eterni", drammatici problemi dei braccianti vercellesi: la concorrenza dei forestieri nelle poche occasioni di lavoro, l'equa distribuzione dell'occupazione tra le squadre dei diversi paesi, l'abolizione dei cottimi, l'omogeneità e la preventiva definizione delle paghe, l'eliminazione dell'intermediazione parassitaria dei capi squadra.
La mattina del 27 marzo, lo stesso giorno della commemorazione di Cavallotti, dopo averne approvato lo statuto, venne costituita una grande cooperativa di lavoro, intitolata Camera del lavoro dei braccianti del circondario di Vercelli, con sede nel capoluogo, articolata per sezioni (costituite nei diversi centri agricoli) e squadre di lavoratori. All'assemblea, presieduta da Cugnolio, essendo Guala gravemente ammalato, intervennero i rappresentanti delle società di San Germano, Tronzano, Crova, Vercelli (Isola e Ferroviaria), Santhià, Pezzana, Oldenico e delle località di Carisio, Lignana, Tricerro, Costanzana e Prarolo. Il progetto prevedeva contrattazioni settimanali con i rappresentanti degli agricoltori e il coinvolgimento dei sindaci, un sistema che dava da tempo buoni risultati a Tronzano; vantava già circa duemilacinquecento adesioni, ma non ebbe seguito, col sopraggiungere della repressione.