JACOBINO SUIGO

 

 

NOTE BIOGRAFICHE E STORICHE SULLE VITA E LE OPERE
DI
JACOBINO SUIGO
(detto anche: Jacopo, Jacopino, maestro Giacomino, De Suigo, De Sancto Germano, Sangermanas)

PRIMO TIPOGRAFO DI CHIVASSO


 

Jacopo, Jacopino, maestro Giacomino, Jacopino De Suigo, Jacopino De Sancto Germano è il nome di un tipografo italiano del XV secolo, nativo di San Germano Vercellese .
La sua vita, di cui non si conoscono i particolari, a cominciare dalla data di nascita, è caratterizzata da un nomadismo periodico, dovuto alla ricerca di committenze di lavoro, dopo un periodo di formazione che ebbe luogo a Venezia, dove si stabilì per circa dieci anni (dal 1475) e poté conoscere e frequentare Niccolò Jenson e Vindelino da Spira, tipografi tedeschi che introdussero l’arte della stampa in città nel 1469.
Come e perché Suigo abbia raggiunto Venezia non è noto; è ragionevole supporre che la grande e celebre città, di cui si favoleggiava in tutta Europa, esercitasse una viva attrazione sui giovani più attivi e attenti del secolo. Dai tipografi tedeschi e da altri loro collaboratori Jacopino imparò l'arte, come apprendista e come operaio tipografo.
La tipografia (termine derivato dal vocabolo tipo o typus, cioè carattere per comporre) inventata da Johann Geinfleish detto Gutenberg, tedesco di Magonza, circa nel 1450, in estrema sintesi consente, allineando i tipi (prismetti metallici di sezione variabile, su cui compare in rilievo l’occhio del carattere) e quindi assemblando le linee, di creare pagine complete di testo, che, inchiostrate si possono stampare con un torchio pressore.
Il termine incunaboli (letteralmente dal latino in cuna, cioè in culla, in fasce) indica libri del primo periodo, ovvero l’infanzia dell’arte tipografica; con esso si qualificano dunque i libri stampati dall’invenzione fino alla fine del '400.

Occorre almeno accennare quali sono gli elementi costitutivi dei primi libri a stampa, infatti tutti i libri di cui si accenna in questo breve articolo sono incunaboli.
L'uso dei caratteri mobili distingue il libro a stampa da quello manoscritto, anche se i caratteri tentarono di imitare le scritture (per essi fu impiegata anche la dizione "scrittura meccanica") per tutto il resto si può dire che l’incunabolo sia modellato sull'esempio del manoscritto.
I primi incunaboli si presentano proprio come i manoscritti: medesima disposizioni generale, identiche abbreviazioni dei manoscritti per studio, stesi in fitta scrittura. In seguito le righe si spaziarono, i caratteri si ridussero di dimensioni ("corpo") con il risultato di avere l’occhio, ossia la parte leggibile, più piccolo, le abbreviazioni divennero meno numerose. La presentazione dei testi mira quindi alla leggibilità, più che all’imitazione della grafia, che resta pur sempre l’ispiratrice di nuovi tipi o caratteri.
"Incipit liber..." così, per lo più, inizia il testo degli incunabuli, riprendendo il modo degli antichi manoscritti pergamenacei.
Incipit sta per principio, inizio, e si contrappone ad explicit, che è il termine posto come segno di fine al termine di una opera. Explicare indica infatti l'atto di svolgere un rotolo per leggerne il testo, e perciò il libro letto sino alla fine si diceva liber explicitus.

E' caratteristico il fatto che l'uso della numerazione del libro a stampa pare non avesse lo scopo di facilitare il lettore, ma di guidare il lavoro dei compositori del testo.
Per aiutare il legatore, gli stampatori imitando i copisti di alcune grandi officine scrittorie aggiungevano sotto l'ultima riga di una pagina le prime lettere della prima parola del pagina seguente, cioè il richiamo e quest’usanza si ritrova in tutti gli incunaboli e per tutto il Cinquecento.
Anche la numerazione delle pagine pare sia nata come aiuto ai legatori; si cominciò numerare le carte (il foglio con le sue due facciate) e solo più tardi le pagine una una. Molti incunaboli mancano di numerazione e in altri la numerazione, di solito in cifre romane, risulta di frequente inesatta.

Caratteristica è la carta degli incunaboli: il buon stato di conservazione di molti incunaboli, rispetto a libri ben più recenti, è dovuto all'ottima qualità dell'antica carta, fabbricata a mano con stracci di cotone, consistente, spessa, un poco ruvida.
Un altro elemento che nel XV secolo accomuna il libro a stampa a quello manoscritto è la forma dei caratteri, ossia lo stile grafico delle lettere, che sono modellate sulla scrittura contemporanea. I primi ad essere usati furono perciò i caratteri gotici, coevi all’nvenzione di Gutenberg, essi ebbero una grandissima diffusione, non solo in Germania, ed assunsero forme svariate a contatto delle scritture più impiegate nei singoli paesi, dando luogo a stili ibridi e diversi, assai più leggibili del gotico.

Questo successo della stampa fu dovuto in buona misura anche agli italiani che subito si erano affiancati ai maestri tedeschi, come il nostro Jacopino; essi influenzarono le scelte stilistiche attraverso gli studi umanistici e i meravigliosi traguardi raggiunti dall’arte rinascimentale; di conseguenza facendo progredire la tipografia tanto da superare in Italia, in ogni senso, la produzione degli altri Paesi; perciò l’Italia fu detta "seconda patria dell’arte della tipografia".
Rapidamente il libro in forma, cioè a stampa, inondò il mercato, dappertutto, trovò il favore dei dotti e del popolo, cui si offriva con spesa assai ridotta rispetto al libro copiato.
Utenti naturali della stampa in Italia furono gli umanisti, i dotti ecclesiastici e laici, gli uomini di legge e di scuola, i politici e i cortigiani. Il "popolo minuto" chiese al nuovo mezzo di comunicazione operette religiose, profane, e spesso scolastiche per le emergenti università.
Gli umanisti soprattutto furono entusiasti della stampa perché consentiva una propagazione più ampia e rapida delle loro opere; e per essa divennero ispiratori e coordinatori di edizioni, correttori, prefatori di volumi con esagerate dediche ai potenti, dai quali si attendevano, se pure non sempre in moneta sonante, benefici e favori.

In Italia si crearono i caratteri romani diffusi in tutto il mondo; e fu in Italia che l'incisione silografica (e poi quella calcografica) si sviluppò in modo mirabile per adornare le più prestigiose edizioni.
Anche se usiamo aggettivi encomiastici per gli incunaboli, non dobbiamo dimenticare che essi si presentano in modo assai dimesso in confronto agli splendidi volumi curati dai miniaturisti, che oltre a costi proibitivi e principeschi, erano assai delicati e deteriorabili, da usare nel consueto impiego.

L’inizio dei capitoli, preferibilmente a pagina dispari, il netto distacco tra l'uno e l'altro capitolo, l’incipit, derivano dunque dai codici manoscritti.
I primi tipografi rivolsero anche cure particolari alla formula conclusiva delle opere stampate, il colophon, in ciò rifacendosi ancora, a quanto praticato dagli amanuensi. Esso reca alcune preziose indicazioni: titolo del libro, nome e marchio dello stampatore luogo e data di stampa, marchio del tipografo; questa formula editoriale si protrasse fin quando l’indicazione della paternità letteraria si impose sull'anonimato abituale; nacque allora il frontespizio del libro, che oggi conosciamo.

Di questa cultura tecnica e umanistica era portatore Suigo, da Venezia, quando nel 1485 ritornò in Piemonte, per invito del senatore Pietro Cara, suo compaesano, che già a Torino nel 1478 aveva sovvenzionato Johan Faber, primo tipografo della città. Suigo era diretto a Torino, ma si trattenne, forse per consiglio del Cara medesimo, a San Germano Vercellese dove impiantò la prima officina tipografica del luogo, dalla quale uscì un solo libro, un Breviarium Cisterciense in-ottavo, datato 21 ottobre 1484. Di tale opera non se ne conoscono copie complete; quella conservata al British Museum ha quarantun pagine di due colonne con trentasei linee (eccetto che per il calendario).

Denominato semplicemente "maestro Giacomino " o "maestro Jacopino ", Suigo si spostò a Vercelli, ove stampò, nel 1485, il Supplementum Summae Pisanellae, di Nicolò da Osimo (Nicolaus de Auxmo), in-ottavo, di quattrocentottantotto pagine, due colonne di quarantatré linee. Nel colophon (conclusione nell’ultima pagina, chiusura dell’opera, si legge: "Impressum est hoc opusculum Vercellis per lacobinum de Suigo de Sancto Germano M.CCCC.L.XXX.V, die XXVII octob.". Tuttavia, secondo Romualdo Pasté, studioso del fine Ottocento, i volumi sarebbero stati portati a Vercelli già stampati, e neppure dal Suigo, ma da Paganlno de’ Paganini bresciano e da Giorgio Arrivabene mantovano, che in quel tempo avevano insieme officina di stampa a Venezia. Un’edizione veneziana del testo, studiata da Pasté**, precede di soli sette mesi quella vercellese, e i volumi dell'una e dell'altra hanno gli stessi caratteri e il medesimo numero di pagine. Jacopino si sarebbe perciò limitato a cambiare le prime pagine di ogni volume per farli apparire suoi e stampati in Piemonte 
In
realtà di tale opera si conoscono parecchie edizioni, che Pasté non cita, per esempio quella ben più antica (del 1474) stampata a Venezia da Franz Renner, tedesco di Heilbronn (Wurtenberg) e da un Nicolò da Francoforte, che con lui esercitò l’arte in città dal 1473 al 1477.
Il Renner è presente a Venezia fin dal 1470, tra i primi prototipografi, i fratelli Johann e Vindelino da Spira, scampati a Venezia dopo la conquista di Magonza da parte di Adolfo di Nassau (1462); essi ebbero un’esclusiva per la stampa in città dal 1469.
Tale edizione della Summa Pisanella ; copia presso la fondazione Ugo da Como, Lonato, Brescia) è assai simile nell’incipit (prima pagina) alla copia stampata a Venezia da un altro tipografo, Leonardo Wilds (Leonardo da Ratisbona, presente a Venezia dal 1478 al 1499), infatti l’impostazione di tali incunaboli veniva mantenuta pressocché costante e i caratteri del periodo ( sono tra loro simili, derivati dalla scrittura gotica tedesca, ma assai arrotondati nella forma e nelle "grazie", da cui la denominazione "rotunda" al carattere gotico-umanistico. Infatti non si potevano riprodurre bene in fusione metallica le cuspidi (grazie del carattere) appuntite, tipiche della scrittura gotica voci che oggi compaiono nel frontespizio e nella pagina seguente (non essendo ancora inventata la fusione sotto pressione o pressofusione).
Non bisogna dimenticare che i tipografi nomadi vissero in tempi assai "duri" - banditismo, rapine, imposte comunali, balzelli feudali, ecc. - per chi commerciava viaggiando, o semplicemente era costretto a spostarsi. Essi commerciavano i libri come semplici oggetti e li trattavano con la massima disinvoltura; non era infrequente il caso di volumi iniziati da un tipografo, ma per varie cause lasciati incompleti e poi acquistati o "ereditati" e terminati da un altro. Così avveniva per i caratteri, che si tramandavano da "maestro dell’arte" a discepolo, o come si diceva illo tempore, "lavoratore di coscienza" poiché il tipografo, fatto eccezionale, sapeva leggere e scrivere.
Non esisteva in quei tempi alcuna tutela dell’editore o diritto di copia (copyright) cui dover fare riferimento, semplicemente i libri erano oggetti di commercio.
La tipografia consentiva inoltre una incredibile rapidità nella stampa, perciò non è da escludere la pubblicazione in qualche mese di una nuova edizione di un’opera anche cospicua. Jacopino potrebbe dunque aver concluso volumi ancora incompleti acquisiti da altro tipografo.

L'anno successivo (1486) Jacopino Suigo fu a Chivasso, dove impiantò la prima officina di stampa della città, ma pubblicò un solo libro: Summa angelica de casibus conscientiae  di Angelus de Clavasio (il beato Angelo Carletti da Chivasso), opera di trecentottantotto pagine, in-quarto, su due colonne di cinquantacinque linee, firmata e datata (1486), di cui si custodisce copia, arricchita da capilettere calligrafati in bicromia (rosso e blu) nell’archivio comunale 
In  è rappresentato il Colophon della Summa Angelica stampata da Jacopo a Chivasso, "l’anno della Salvezza 1486, il 13 maggio".

Nel 1487 Suigo si trasferì a Torino, ove probabilmente succedette al Faber (Fabris) nella prima tipografia torinese, quando questi, dopo aver fondato la tipografia nel 1474, si trasferì per tre anni a Caselle Torinese, sede di una antica cartiera, per la facilità di approvvigionamento di carta. Suigo ebbe in Torino una maggiore attività, stampando dapprima da solo, pubblicando fra l'altro i Commentari sul sesto libro delle Decretali di Domenico da Gimignano, opera dedicata al suo protettore Pietro Cara e datata 10 aprile 1487; la ristampa, uscita nello stesso anno, delle Leggi Ducali che Giovanni Faber già aveva pubblicato nel 1477 e le Instituctiones di Giustiniano (aprile del 1488), sono pure dedicate a Pietro Cara***. Nel 1489 Suigo si associò con lo spagnolo Nicolò Benedetti (Nicolas de Benedictis, catalano, lavorò a Torino dal 1489 al 1518), pubblicò un Doctrinale (1494) adottando nel marchio tipografico (che si trova nel frontespizio dei volumi) l’insegna di San Cristoforo , per esempio per il Liber sextus Decretalium di Bonifacio VIII (in-folio, centottantasei pagine a due colonne e settantanove linee di testo e a commento), che in uno dei due colophon reca il nome di Suigo e del de Benedetti come stampatori a Torino nel 1494. Altro incunabolo di Suigo è l’opera Sancti Prosperi Carmina, stampato a Torino nel 1497 .
Pare che i due lavorassero insieme a Lione dal 1496 fino al 1499 (dove stamparono un De Feudis di Baldo da Perugia); però altre Ioro edizioni uscivano in quel periodo a Venezia e a Torino.
E’ altresì nota la pratica dell’epoca di indicare sedi di stampa destituite di fondamento (false o inesistenti) per evitare tasse, censure e guai con potenti e giurisdizioni locali o anche, si ritiene, per dar prestigio e dunque "valore aggiunto" alle edizioni (perché stampate in celebri e lontane località!); un libro stampato in loco o nei pressi avrebbe giustificato prezzi inferiori per l’acquirente, anche per l’ininfluente spesa di trasporto.
Intorno al Suigo pubblicò preziose notizie Giuseppe Deabate, in opuscolo, dal titolo Jacopo Suigo da San Germano, celebre tipografo piemontese del secolo XV, tali informazioni, che onorano il nostro prototipografo, interessano particolarmente la storia dell'arte della stampa. Nella pubblicazione del Deabate si trova infatti un prezioso Catalogo delle produzioni tipografiche del Suigo.
Seguendo altri storiografi (Dionisotti Notizie biografiche di Vercellesi illustri), il Suigo, come già detto, succedeva a Giovanni Fabri in Torino nella prima sede tipografica della città. La stamperia continuò e passò in seguito ad Antonio Ranoto, che riprese il marchio di S. Cristoforo ed ebbe per socio Giovanni Ferrari da Trino.

Le celebrazioni a Chivasso di Jacopo Suigo nel V° Centenario della stampa del primo libro
Giovedì 17 Aprile 1986 Nella cittadina la prima stampa di un libro a Chivasso, 500 anni fa . Per ricordare la pubblicazione della «Sómma Angelica», sono in programma numerose mostre, concorsi e manifestazioni. In una stampa d'epoca si ricorda il tipografo ambulante Iacopino Suigo al lavoro a Chivasso. Chivasso si appresta a celebrare una ricorrenza di grande interesse culturale e scientifico: cinque secoli fa veniva stampato a Chivasso Il primo libro con la tecnica inventata appena alcuni anni prima da Gutenberg, il volume, ideato da Angelo Cadetti, francescano, teologo, patrono della citta di Chivasso e di Cuneo, aveva come titolo «La Summa angelica», venne pubblicato in circa duecento copie e ristampato negli ottantanni successivi in altre settantun edizioni, dato l'enorme successo. Il tipografo chivassese era Jacopino Suigo da San Germano Vercellese. Chivasso ebbe poi altri illustri tipografi, come Francesco Garrone, di Livorno Ferraris, e la famiglia dei Mazzucchelli. L'amministrazione comunale ha deciso, con l'aiuto di due studiosi locali, Luciano Dell'Olmo e Rino Scuccimarra, di celebrare la ricorrenza. La data esatta della pubblicazione del libro, il 13 maggio prossimo, verrà ricordata con una mostra sui libri stampati in quell'epoca, e da una settimana di studi sui problemi della stampa nel secoli, a cui hanno già dato la loro adesione, personaggi della cultura e dell'editoria piemontese. In queste settimane, nelle scuole cittadine, un'equipe di studiosi sta presentando l'iniziativa che sfocerà, a meta maggio, in un concorso aperto agli alunni. In autunno sarà poi inaugurata una mostra della pittrice chivassese Alma Fassio Dotterò, sui personaggi illustri della città e verrà dato alle stampe il libro di Dell'Olmo-Scuccimarra, dal titolo «Le origini di Chivasso e del Chivassese. ». Nei giorni scorsi, il sindaco, Renato Cambursano, ha sottolineato come l'iniziativa parta sotto i migliori auspici. Vi hanno aderito tutte le più insigni rappresentanze della cultura e delle istituzioni piemontesi e, per la prima volta, , si realizza nella città una collaborazione fra tutte le associazioni culturali locali, la Pro Loco, il Rotary, il Lions, il Club Turati e l'associazione «Industria», per la gestione di un'iniziativa di cosi alto interesse.

 

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Nel 2001 un altro spostamento: apre la nuova e più ampia sede di piazza Carlo Alberto dalla Chiesa. In quella circostanza la biblioteca è intitolata a Jacobino Suigo, tipografo che a fine quattrocento operò nel chivassese, pubblicando tra l’altro la “Summa angelica de casibus coscientiae” di Angelo Carletti. Nella sala studio “Jacobino Suigo”, destinata al silenzio e alla concentrazione degli studenti, trovano posto le opere di consultazione, la sezione di storia locale, i testi per i concorsi e una sezione dedicata interamente ai temi della Legalità e alla lotta alle mafie

 

JACOBINO SUIGO VENDICATO A VERCELLI ED INCRIMINATO A LIONE

Saggio di Dennis E. Rhodes sull'accusa a Suigo

Non è avvenuto spesso che gli scrittori locali di una città di provincia si sono convinti che non è mai esistita una tipografia quattrocentesca nel proprio paese quando ce n’era solo qualche vaga notizia; mai, credo, davanti alla evidenza stessa di un colophon. Eppure proprio questo sembra che sia successo a Vercelli. Mentre una serie di bibliografi, l’uno dopo l’altro, hanno continuato a smentire l’autenticità dell’unico incunabolo stampato a Vercelli ( Nicolaus de Auximo, Summa Pisanella, oppure Supplementum, 27 ottobre 1485), accusando lo stampatore Jacobino Suigo di avere falsificato l’edizione veneziana del 28 marzo di quell’anno, abbiamo l’evidenza tipografica delle due edizioni stesse, che io ho potuto esaminare a fronte nella biblioteca del Museo Britannico di Londra, per collaudare l’esistenza della tipografia vercellese del Quattrocento.

Vittima della storia è il tipografo errante Jacobino Suigo, il quale, avendo imparato l’arte della stampa probabilmente a Venezia fra il 1475 e il 1485, stampò poi successivamente a San Germano, Vercelli, Chiasso, Venezia, Torino e Lione. Primo ad oppugnare la veridicità dell’incunabolo vercellese sembra sia stato il barone Giuseppe Vernazza ( 1745- 1822 ), il quale in una memoria manoscritta inserita in una copia del suo libro pubblicato a Bassano nel 1807, Osservazioni tipografiche sopra libri impressi in Piemonte nel secolo XV ( libro che, nonostante il titolo, tratta solamente di Savigliano ), suggerì che il Suigo non avrebbe stampato l’unico incunabolo conosciuto della sua tipografia veneziana, la Practica nova  judicialis di Johannes Petrus de Ferrariis, 20 marzo 1487 ( non registrato in B.M.C. vol. V, ma un esemplare, ora IB. 23235, fu donato al Museo Britannico nel 1938 ). Il Vernazza pretende che il Suigo non dica di avere stampato questo libro; lo dedica al suo compatriota e mecenate, Pietro Cara da San Germano: “ d’onde par verisimile che egli portasse nel suo fardello diversi esemplari di alcuna di quelle tre edizioni di Venezia ( 1473, 1478 e 1484 ) e che qualche pagina vacante venisse da lui riempita colla sua dedicazione”. Questa fantastica accusa venne poi accettata ed amplificata dall’Abate Costanzo Gazzera, Professore di Filosofia e Sottobibliotecario della Reale Università di Torino, che adopera la teoria del Vernazza quale classico esempio del comportamento abituale del Suigo; egli suggerisce poi che il colophon vercellese è falso perché il Suigo riportò con se da Venezia a Vercelli alcuni esemplari dell’edizione di Paganini e Arrivabene del 28 marzo 1485 ( B.M.C., V, 383, IA. 22490 ), avendo semplicemente “cambiato alcuni fogli “.

I motivi che spronarono il Gazzera ad asserire una tal cosa così sciocca e così poco scientifica sono “ la perfetta uniformità de’ tipi delle due edizioni, in quanto spetta alla forma de’ caratteri, qualità della carta , e numero delle pagine”, e aggiunge anche la ragione illogica “ dell’inutilità dello ristampare in Vercelli un’opera costosa, la quale sette soli mesi prima erasi in numero stampata in Venezia “.

Gli stessi argomenti, che non avevano nessun fondamento scientifico, furono citati e ripetuti da Carlo Dionisotti nel  1862, e nel 1910 Giulio Cesare Faccio poteva scrivere categoricamente: “ In Vercelli nel secolo XV non sorsero tipografie”. Meno male che il Deabate nel 1899 aveva incluso Vercelli nelle peregrinazioni del Suigo, quando scrisse: “ il Suigo ( stampava ) nell’anno seguente (1485) in Vercelli il ‘ Supplementum Summae Pisanellae’ “. Ma nessuno dava retta al Deabate, e nel 1911 il canonico Romualdo Pastè pubblicò un documento del 1499 per dimostrare la frode del Suigo a Lione , il testo del quale è riprodotto di sotto. Si riferisce il Pastè all’articolo del Gazzera del 1825, e aggiunge: “ Il fatto capitato a Lione non era dunque nuovo, sebbene quivi fosse avvenuto sotto altra forma “. Vero è che Domenico Fava nel suo Manuale degli incunaboli, compilato per buona parte sul B.M.C., registra la tipografia vercellese del Suigo; ma, non dicendo neppure una parola per confutare gli argomenti di chi ne aveva negato l’esistenza, lasciava largo luogo ai dubbi e ad ulteriori spropositi. Infatti nel 1955 Ernesto Gorini all’inizio del suo opuscolo sulla stampa cinquecentina a Vercelli, scrive: “ Sembra ormai accertato che Jacopo Suigo da S.Germano coll’edizione della   Summa Pisanella portante infine  Impressum Vercellis per Jacobum de Suigo de S. Germano 1485 , abbia commesso una frode libraria divulgando alcuni esemplari di altri editori , ai quali aveva cambiato alcuni fogli.

Ora bisogna demolire una buona volta i falsi argomenti , nati prima dei giorni dell’incunabulismo scientifico e fino a oggi cresciuti come un edera a strangolare l’unico incunabolo vercellese. Per fortuna come ho detto , il Museo Britannico possiede sia l’edizione vercellese che quella veneziana dell’opera di Nicolao di Osimo , e quindi non mi è stato difficile metterle a confronto e vedere le differenze . Il Gazzera pretende che le due edizioni sono invece una , col solo cambiare alcuni fogli. Non aveva dunque visto i due libri , e in ogni caso mi domando , come si potrebbero cambiare alcuni fogli?. L’edizione del Paganini e dell’ Arrivabene di Venezia ha 500 carte , prima e ultima bianca ; due colonne , 42 righe alla colonna ; i tipi 130 G e 60 G . Sulla carta 469 recto cominciano i Consilia iv Alexandri de Nevo contra Iudaeos Foenerantes . L’edizione vercellese del Suigo invece comprende 488 carte , prima bianca ; due colonne , 43 righe alla colonna , e i tipi 120 G e 58 G . Sulla carta 459 verso cominciano i Consilia . Come dice il B.M. C. (VII p.1106) , l’uso della parola “opusculum” piuttosto che “opus” nel colophon dell’edizione vercellese è caratteristico delle edizioni stampate dal Renier a Venezia nel 1482 e 1483 , l’una o l’altra delle quali era probabilmente l’archetipo della presente edizione . Quella del Paganini e dell’ Arrivabene adopera appunto la parola “opus” . Vero è , come segnala il B.M.C. , che tutti e due i caratteri che si trovano nella stampa vercellese sono stile veneziano , ma niente più naturale per uno che aveva imparato l’arte sua nella città della laguna , e questi due caratteri sono in ogni caso più piccoli di quelli del Paganini e dell’ Arrivabene . Nessuna parte delle due edizioni può far pensare ad una ristampa dell’edizione vercellese condotta pagina per pagina , su quella veneziana . I due libri sono insomma completamente diversi .

In quanto poi l’altra accusa del Gazzera contro il Suigo a Venezia (accusa ripetuta dalla cattiva opinione del Vernazza) basta osservare che l’edizione del Suigo della “Pratica nova jiudicialis” di Johannes Petrus de Ferrariis del 20 marzo 1487 (IB 23235) ha 268 carte ed è in quarto segnato , e che dei tre tipi usati , due (58 G e 120 G) erano stati usati dal Suigo a Chivasso , e uno 75 G sarà usato dopo dallo stesso Suigo  a Torino. Delle tre edizioni anteriori che egli è accusato di aver falsificato , quella di Vindelino di Spira del 1473 (B.M.C. V. p 163 IC 19564) è in foglio di 252 carte , senza segnature , quella di Johannes de Colonia e Johannes Manthen de Gherretzem del 13 giugno 1478 (Pellechet 4774) è in foglio di 212 carte segnate , mentre quella di Andreas de Bonetis del 25 ottobre 1484 (B.M.C. V p. 361 IC 22084) è un altro grande in foglio di 163 carte segnate.

Così vediamo crollati gli argomenti inconsistenti e futili del Vernazza e del Gazzera , per sfortuna accettati dagli scrittori più moderni della bibliografia vercellese . Jacobino Suigo non falsificava né a Venezia né a Vercelli . A Vercelli non sarà più negato l’onore di tenere un posto tra le città d’ Italia che ebbero la stampa nel Quattrocento.

Ma perché il Suigo non scappi del tutto dal,la nostra censura , credo opportuno ristampare qui il testo del documento che è stato già pubblicato una volta , ma su una rivista vercellese che non si può facilmente consultare . Il documento stesso fu rinvenuto dal Pastè mentre stava riordinando l’Archivio Eusebiano di Vercelli , in un quadernetto di un canonico del secolo XVIII , che aveva per copertina detta pergamena , conservata per buona sorte intatta nelle parti sostanziali . Essa è ora registrata fra i documenti dell’Archivio Capitolare , cassettone I , Cartella VI .

Nel 1489 secondo il Pastè , il Suigo si era alleato con Nicolò Benedetti spagnolo , e nel 1498 andarono insieme a Lione . Nel 1499 due tipografi veneziani , i fratelli Battista e Silvestro de Tortis , si erano accorti che non solo il Suigo e il Benedetti , ma anche altri stampatori e librai di Lione , avevano inserito i nomi e le marche dei Veneziani nei propri libri con lo scopo di venderli più agevolmente . I fratelli si rivolsero al governo di re Luigi XII per chiedere giustizia. Benché questo documento contenga ripetizioni e imprecisioni come suole accadere nei testi medioevali , e benché la trascrizione non sia forse senza qualche errore , possiamo capire che Battista e Silvestro avevano ricevute certe informazioni , magari tramite qualche agente loro , circa la ristampa illecita delle loro edizione da parte di alcuni tipografi Lionesi , fra i quali soli il Suigo e il Benedetti vengono citati a nome ; ma non specificano purtroppo i libri . Le più esaurienti indagini fatte tra tutti gli incunaboli lionesi posseduti dal British Museum mi hanno convinto che l’accusa di aver aggiunto il nome o la marca De Tortis ai libri Lionesi , e di aver fatto “ogni giorno” , è esagerata , anche se tante edizioni  di quella città si ristampavano su quelle anteriori , non soltanto di origine veneziana ma di altre città d’ Europa . Tuttavia emerge un fatto che a me sembra non essere senza qualche significanza  , e questo concerne tre ristampe lionesi di un libro , o di una parte di esso , di origine veneziana . Tre volte troviamo nominato Battista de Tortis nella parte del B.M.C. vol VIII che descrive gli incunaboli lionesi , e tutte tre le volte si tratta delle sue edizioni di Bonifacio VIII , “liber sextus decretalium” , e di Clemente V , “Constitutiones” , che egli stampava insieme nel 1491 (IC 21419) 1494 (IC 21440) e 1496 (IC 21461). Non più tardi del Novembre 1494 , questi due testi venivano pubblicati da Johannes Siber a Lione , e il B.M.C. nota che “probabilmente si ristampavano sulla edizione prototipa di questa unione di testi , cioè quella del de Tortis . Il 13 maggio 1495 Michele Wenssler pubblicò una edizione  di Clemente V , “Constitutiones e Decretales extravagantes” , ristampata fedelmente su quella del de Tortis. di aprile 1494. Il 28 luglio 1496 il Suigo e il Benedetti stamparono il Bonifacio VIII e il Clemente V insieme , la seconda parte della quale si descrive “ristampa molto fedele” di quella del de Tortis o del 1494 o del 1496. Messe a confronto queste edizioni dimostrano una rassomiglianza  generale di tipi e di disposizione testuale. La marca del Suigo rassomiglia a quella del de Tortis , ma naturalmente , con delle iniziali diverse.

Non mi stupirei che quelle fossero le principali edizioni delle quali tratta il documento del 1499 , ma non è da escludersi la possibilità di altre edizioni, ora perdute o almeno non identificabili nella ricchissima raccolta del Museo Britannico , siano state pubblicate dal Suigo e dal Benedetti ed abbiano , meglio di queste , offerto giustificazione alle accuse dei fratelli de Tortis.

 

Alessandro Gusmano

Note

*Il fatto che Suigo faccia sempre riferimento alla protezione del conte palatino Pietro Cara, professore dell’Università torinese, certamente nato a S. Germano (morto nel 1502), depone per la sua nascita nel paese medesimo.

**Dal Dizionario storico-esegetico per le arti grafiche di G.I. Arneudo cito a proposito:
Il Gazzera sottolinea, non senza fondamento, che per l’edizione di Vercelli vi sia da dubitare che fosse eseguita da Suigo, ma che "portati seco da Venezia alcuni esemplari della Summa Pisanella della stampa eseguitane ai 88 di marzo dell'anno stesso (1485) dal Paganino di Brescia e dall'Arrivabene di Mantova, giunto a Vercelli, col solo cambiare alcuni foglietti siccome cosa uscita, dai suoi tipi, ivi la divulgasse…"

***Pietro Cara, nato a nato in San Germano Vercellese, noto giureconsulto e oratore, diplomatico e letterato, chiamò a Torino, insieme a Pantaleone da Confienza, i primi due tipografi, Giovanni Fabri di Langres e Giovannino de Petro nel 1474. Alla memoria di Cara e di Suigo venne eretta una monumentale lapide sul frontone del palazzo municipale di San Germano Vercellese; con epigrafe dettata dall’ avv. Giuseppe Deabate, inaugurata il 21 maggio 1899.

 Note bibliografiche

Deabate G. Jacopo Suigo da San Germano, celebre tipografo piemontese del secolo XV, G.B.Paravia, Torino, 1899

Dionisotti C. Biografie di vercellesi illustri, Amosso, Biella, 1862

Dizionario storico-esegetico per le arti grafiche di G.I. Arneudo, Torino, 1917, voll.3.

Gazzera C. Notizie intorno all’origine e al progresso dell’arte tipografica, Saluzzo, 1831

Gianolio Dalmazzo, Il libro e l’arte della stampa, Torino, 1914

Pugno A. M. Trattato di cultura generale nel campo della stampa, SEI, Torino, 1965, voll. 5

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