Robarello

Portale d'ingresso di Robarello

La Tenuta Robarello vista dalla risaia

L'antica Cappella di San Rocco

Interno della vecchia Cappella di San Rocco

 

ROBARELLO

La frazione di Robarello appartiene al comune di San Germano Vercellese, in provincia di Vercelli, nella regione Piemonte.  

Secondo lo storico Antonio P.Calegaris nella sua ricerca delle etimologie Vercellesi il nome Robarello deriva da “Robur” = quercia , quindi querceto o meglio querciolo .

La frazione di Robarello dista 3,37 chilometri dal medesimo comune di San Germano Vercellese cui essa appartiene.

La frazione di Robarello sorge a 155 metri sul livello del mare.

Nella frazione di Robarello risiedono 19 abitanti.

Vi era un tempo una Cappella dedicata a San Rocco . Il piccolo borgo fu teatro nel 1859 dell’occupazione delle truppe Piemontesi atte a contrastare l’avanzata dell’esercito Austriaco , nei primi giorni della II Guerra d’Indipendenza.

Negli anni 40 , la Tenuta di Robarello venne anche utilizzata come campo di prigionia per miliari Australiani catturati sul fronte in Nord-africa.

 

Robarello nei primi 800°

Descrizione della Tenuta di Robarello negli anni 30

Nel Vercellese fra le più note e lodate d'Italia; c'è certamente la migliore in fatto di risicoltura. La tenuta Robarello in territorio di San Germano, di proprietà dell'ing. Cerati, gode il primato dell'attrezzamento meccanico. Quella specie di parentela ideale fra officina e azienda risicola vercellese, cui abbiamo accennato altra volta, ha qui una pratica conferma, si rivela anche nelle forme esteriori. In certi reparti dell'azienda la mole e la complessità del macchinario ci trasportano nell'atmosfera dello stabilimento. » Così avviene nel reparto della lavorazione del riso, dove una serie di sale accoglie i più moderni congegni destinati alla pulitura, alla brillatura, alla raffinatura. Motori elettrici, puleggie, aspiratori, setacci, rulli. Il riso entra greggio, cioè «risone», da una parte, ed esce bianco e cristallino dall'altra, pronto per la pentola. Anche la trebbiatrice, la vecchia tradizionale trebbiatrice all'aria aperta, con gli uomini che vi formicolano intorno e sopra, con i carri che fanno la loro lenta spola a portare i covoni, assume qui aspetto di officina. La ricopro una grande tettoia, lungo la quale scorre l'imponente carrello di un elevatore elettrico. Questo abbassa i suoi ganci e le sue tenaglie, afferra la cassa dei carri, la toglie dall'armatura delle ruote, la solleva, la trasporta sulla trebbiatrice, e quivi, vicino alla bocca ingorda, rovescia il cumulo dei covoni; poi, con movimento inverso, rimette la cassa sulle ruote, e il carro, di mutilato che era, ridiventa integro. Il capestro nella stalla Duplice è quivi il reparto degli essiccatoi: uno destinato al riso comune, l'altro al riso semente, che viene trattato con speciale delicatezza. E tutto — trebbiatrice, essiccatoi, pileria — è collegato a catena, a sistema. Il covone automaticamente è portato alla trebbiatrice, automaticamente il risone va al magazzino e di qui alla pileria; poi, nella sua veste di riso — sempre automaticamente — li passa nei sacchi al deposito, di dove viene spedito. Congegni meccanici si notano anche nella stalla. Il letame viene caricato su appositi carrelli che scorrendo su un binario aereo escono dalla stalla e vanno a finire nel luogo appartato della letamaia. L'ing. Cerati ha poi creato tutto un complesso e completo laboratorio. Accanto al falegname che costruisce il carro, il fabbro che batte l'aratro, il meccanico che compie la riparazione alla trattrice. Sotto un ampio porticato, ecco un esercito di irte e complicate creature di terrò. Sono le macchine agricole destinate a coadiuvare e moltiplicare l'opera dell'uomo: falciatrici, seminatrici, mietitrici, rastrellatrici, aratri multipli, erpici giganti. E su esse, campeggiante, la mole quadrata e possente dei trattori. Degna di nota è la stalla a quadruplice corsia, sistemata all'americana. Le duecento bovine sono legate alla greppia, assai bassa, mediante capestro meccanico. La parola è dura, ma la cosa no. La bovina ha ampia libertà di movimento, pure non potendosi spostare oltre un certo limite. Il sistema ha il vantaggio di far risparmiare lettime e, obbligando la mucca a una relativa immobilità, che vuol dire risparmio di energia, a eccitarne la produzione del latte.